Andrà tutto bene. Forse.

Ho provato anch’io.
È stata tutta una guerra
d’unghie. Ma ora so. Nessuno
potrà mai perforare
il muro della terra.
(Giorgio Caproni: Anch’io – da Il muro della terra, Garzanti, 1975)

 

Il 5 marzo 2020 sul Corriere della Sera online comparve un articolo – “Coronavirus, spuntano in Lombardia decine di bigliettini anonimi: «Tutto andrà bene!» – che iniziava così:

“Un post-it e una scritta: «Tutto andrà bene!». Con un cuoricino disegnato a mano. Un messaggio di speranza in tempi di coronavirus, a ricordarci la forza dei piccoli gesti. Ne sono stati trovati a decine in diverse zone della Lombardia. Attaccati qua e là, sulle porte delle chiese o sulle fermate degli autobus, sulle vetrine dei negozi o sulle panchine dei parchi pubblici. Perfino sui citofoni. Tutti luoghi di passaggio: chiaro l’intento di raggiungere quante più persone possibili. È però mistero sull’autore (o sugli autori, a questo punto) dell’iniziativa. Sui social ci si confronta, ma nessuno ha visto nulla né sa chi possa essere stato. Un’azienda? Un gruppo di amici? Privati cittadini che ne imitano altri? Per il momento è un enigma, e forse è giusto così. D’altronde l’intento dei foglietti sta proprio in questo: incoraggiarsi senza chiedere nulla in cambio. Constatare che si è tutti sulla stessa barca, alle prese con stesse difficoltà. Tutto il resto non conta: l’importante è l’empatia, anche tra sconosciuti.”

“Andrà tutto bene”: se da un lato è vero che – almeno nei primi tempi della pandemia – la percezione era quella di un motto che invitava a non perdersi d’animo di fronte all’incertezza del futuro, di un richiamo al valore della speranza; dall’altro è anche vero che a lungo andare la stessa frase è divenuta nient’altro che uno stucchevole luogo comune, riprodotto a pappagallo in tutti i modi e contesti possibili con sfumature sempre più accentuate di un astratto paternalismo. Tutto questo sarebbe naturalmente giustificato avendo sempre e solo a che fare con un pubblico di bambini da rassicurare. Molto meno giusto quando l’uditorio è composto da elementi adulti i quali, più che essere rassicurati, avrebbero il dovere di provvedere alle soluzioni dei problemi, o almeno provarci e non solo a parole. E qui casca spesso l’asino, cioè appare quella diffusa paura di crescere, approssimativamente definibile come sindrome di Peter Pan, che si manifesta soprattutto quando il problema da affrontare è tutt’altro che semplice e per di più non è rimandabile nè aggirabile.

Di fatto non siamo culturalmente preparati a questa durezza della realtà, all’amarezza delle verità; siamo invece abituati alle illusioni superficiali e ai consolanti autoinganni. Oppure ci rifugiamo in sterili fughe mentali, irrazionali e narcisistiche, come il complottismo o il fanatismo no-vax.

«È obbligatorio che qualunque analisi, per quanto lucida e spietata, si concluda con un messaggio positivo: c’è ancora tempo per, il papa ha aperto uno spiraglio, il problema è complesso ma non insolubile, l’umanità alla fine non può non prevalere. Abolire lo stato di cose presente è impossibile, ma non possiamo permetterci di credere che le cose vadano indefinitamente peggiorando. La luce in fondo al tunnel, il sole dopo la tempesta. Catastrofismo, nichilismo, fuga nel negativo: ogni discorso su un’impotenza reale viene rubricato come perversione psicologica, egoismo congenito, qualunquismo politico, voglia di farsi notare. Roba da vergognarsi, insomma. [Rispetto al passato] ora la speranza nel meglio è meno legata a un posizionamento partitico e si traduce in posture (chiamiamole così) più larganente esistenziali. Distinguerei tre atteggiamenti di fondo.

Dalla parte giusta. Il primo modo di vivere per speranza si realizza per contrario: consiste nell’indignarsi per ogni stortura e ce ne sono abbastanza in giro per farci sentire continuamente dalla parte giusta: la corruzione ad ogni livello, i femminicidi, i migranti lasciati morire in mare, i “furbetti” di qualunque ordine e grado, chi non paga le tasse, chi non rilascia gli scontrini, chi abbandona i cani in autostrada.

Lungotermismo. Il secondo modo è più articolato e cosruttivo, richiede una spesa intellettuale maggiore: si tratta di immaginare riforme a lunga scadenza, così lunga che un eventuale fallimento sia rimandato a quando avremo elaborato riforme ancora più ambiziose. Riformare l’economia del Terzo Mondo, per esempio.

Combattere. Il terzo modo è più tortuoso, per chi non si accontenta di rifugiarsi nel privato: “lavorare su di sé” può avere anche un significato pubblico (“il privato è politico”, slogan arcaico che torna buono all’occasione). Può voler dire non arrendersi, cercare ogni giorno di allenarsi al meglio invece di abituarsi al peggio, battere in breccia l’accidia e l’indifferenza.

Di fronte alla delusione. Che fare poi, quando i risultati non si rivelano pari alle attese e la delusione si erge di fronte a noi come un muro compatto? Su Internet circola una versione “facilitata” del mito di Sisifo secondo Albert Camus; il re di Corinto, condannato dagli dèi dopo la morte a spingere in salita per l’eternità un masso che perennemente rotola giù, sarebbe il simbolo  che “la lotta basta a sé stessa”. Ma Camus è ben lontano da una soluzione così facilmente assolutoria; il suo è un libro sull’assurdità dell’esistenza, tra gli esempi che fa per riempire l’assurdo ci sono Don Giovanni e Kirillov (il dinamitardo dei Demoni di Dostoevskij che freddamente e teatralmente si suicida). “Bisogna immaginare Sisifo felice” scrive Camus alla fine del saggio, è vero, ma non è la felicità della retorica e dell’ipocrisia.

Non c’è niente di male a constatare l’impotenza personale o collettiva, non cè niente di male nell’insegnare ai giovani la disperazione. A constatare la compattezza del muro, ad abitare il buio del presente. Non è il cinismo contro l’entusiasmo, anche nella conoscenza c’è passione.» (Walter Siti – da Il nostro ottimismo è ipocrita – Domani, mercoledì 18 luglio 2023)

Per quanto amara essa sia, la verità è che diventare adulti significa anche, ma forse soprattutto, proprio questo.

Una volta vestivi così bene / gettavi una moneta ai mendicanti / nel fiore dei tuoi anni, non è vero? / La gente ti avvisava / “attenta ragazza sei destinata a cadere” / tu pensavi che stessero tutti scherzando / eri solita ridere / di tutti quelli che tentavano di rimanere a galla / ora non parli così forte / ora non sembri così superba / nel tuo dover elemosinare / il tuo prossimo pasto
Come ci si sente / come ci si sente / senza una casa / come una completa sconosciuta / come una pietra che rotola?
Sei andata alle scuole più prestigiose / tutto ok signorina solitaria / ma sai che ti piaceva solo ubriacarti / nessuno ti ha mai insegnato/ come vivere per la strada / ed ora dovrai abituartici / dicevi che non saresti mai scesa a compromessi / con il vagabondo misterioso / ma adesso ti rendi conto / che lui non sta vendendo alcun alibi / mentre tu fissi nel vuoto dei suoi occhi / e dici “ci mettiamo d’accordo?”
Come ci si sente / come ci si sente / a contare sulle proprie forze / senza un posto dove andare / una completa sconosciuta / come una pietra che rotola?
Non ti sei mai voltata intorno / per vedere lo sguardo aggrottato / dei giocolieri e dei clowns/ quando tutti loro facevano trucchi per te / non hai mai capito che non è bello/ lasciare che altri ti divertano/ eri solita andare sul cavallo cromato / con il tuo diplomatico / che portava sulla sua spalla un gatto siamese / adesso è dura dal momento che ti sei accorta / che in realtà non era come ti diceva/ dopo che ti ha portato via tutto quello/ che poteva rubarti
Come ci si sente / come ci si sente / a contare sulle proprie forze/ senza un posto dove andare / come una completa sconosciuta / come una pietra che rotola?
La principessa sul campanile / e tutta la gente carina / sta bevendo e pensando / che ce l’hanno fatta / e si scambiano tutti preziosi regali / ma tu faresti meglio / a prendere il tuo anello di diamanti / faresti meglio ad impegnartelo babe / Eri solita ridere
del Napoleone in stracci / e del linguaggio che egli usava / và da lui ora, ti sta chiamando / non puoi rifiutare / quando non possiedi più nulla / non hai nulla da perdere / sei invisibile ora / non hai segreti da nascondere
Come ci si sente / come ci si sente / a contare solo su se stessi / senza un posto dove andare / come una completa sconosciuta / come una pietra che rotola?
(il brano Like a Rolling Stone di  Bob Dylan è contento nell’album Highway 61 Revisited, 1965)

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