Il 14 gennaio 1976 uscì il primo numero del quotidiano Repubblica [vedi sopra], oggi uno dei più diffusi in Italia. Repubblica venne fondato da Eugenio Scalfari – che in precedenza aveva già lavorato come direttore dell’Espresso ed era stato deputato del PSI (Partito socialista italiano) – e negli anni seguenti alla sua fondazione scombinò il panorama editoriale dei giornali italiani grazie fondamentalmente a tre innovazioni: il formato berlinese delle pagine, più compatto rispetto al formato broadsheet allora utilizzato dai principali giornali – e oggi adottato quasi solo dal Sole 24 Ore e dal Foglio – l’introduzione del cosiddetto “stile brillante” del linguaggio, meno rigido e “alto” degli altri giornali dell’epoca, e una grande attenzione al giornalismo d’inchiesta. Il primo numero di Repubblica fu di 24 pagine e in prima pagina aprì con i problemi del quarto governo guidato da Aldo Moro, che di lì a un mese avrebbe subito un rimpasto e sarebbe caduto nel luglio del 1976. Il giornale costava 150 lire. (ilpost.it)
A inizio dicembre scorso (2019) il gruppo Gedi — editore del quotidiano — era passato dalle mani della famiglia De Benedetti a quelle degli Agnelli-Elkann che tramite la holding Exor hanno acquisito la quota di controllo di Gedi. Il 23 aprile 2020 è stato perfezionato il passaggio ad Exor del 43,78% del gruppo, ceduto da Cir per102,4 milioni.
Sabato 16 maggio 2020, il gruppo automobilistico Fiat Chrysler Automobiles (FCA, superfluo specificarne la proprietà…) ha annunciato di essere al lavoro per ottenere un prestito fino a 6,3 miliardi di euro da usare per sostenere le attività produttive di FCA Italy, la controllata del gruppo attiva in Italia (quella che in passato era Fiat). FCA ha detto che sta trattando con la banca Intesa Sanpaolo per ottenere il prestito e ha spiegato di aver chiesto che parte delle garanzie necessarie per averlo siano date dallo stato, in base a quanto stabilito dai decreti approvati per rilanciare l’economia durante la crisi dovuta al coronavirus.
Inevitabili le giuste polemiche di diverse provenienze politiche:
“Senza imbarcarci in discussioni su che cosa è un paradiso fiscale credo si possa dire con chiarezza una cosa: un’impresa che che chiede ingenti finanziamenti allo Stato italiano riporta la sede in Italia. Attendo strali contro la sovietizzazione e dotti sermoni sul libero mercato” aveva scritto il vice segretario del Pd, Andrea Orlando, su Twitter.
Senza imbarcarci in discussioni su che cosa è un paradiso fiscale credo si possa dire con chiarezza una cosa: un’impresa che che chiede ingenti finanziamenti allo Stato italiano riporta la sede in Italia.
Attendo strali contro la sovietizzazione e dotti sermoni sul libero mercato
“Vedo che Fca della famiglia Agnelli chiede che lo Stato italiano garantisca per una richiesta di prestito da 6,3 miliardi di euro. Bisognerebbe chiedere in contropartita che riportino la sede legale e il domicilio fiscale in Italia, dopo averle spostate in Olanda e in Gran Bretagna” aveva aggiunto il portavoce nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni. “Così almeno – conclude l’esponente di Leu – un po’ di tasse in più in Italia arrivano. È una questione di garanzie”.
“Condizioniamo l’aiuto dello Stato per imprese alla residenza giuridica e fiscale in Italia, a cancellare i dividendi non per un anno, ma fino a quando le garanzie dello Stato per essi immobilizzate non vengono liberate; infine, a limitare, fino alla liberazione delle garanzie pubbliche, la remunerazione complessiva annuale del management a 20 volte la retribuzione annua degli operai. Sono alcuni degli emendamenti di LeU. Non è populismo. È la nostra Costituzione” scrive invece Stefano Fassina su ‘Il Fatto‘.
Ovviamente la sede legale e fiscale torna a Torino. Perché altrimenti andremo sul surreale.
Decisamente contrario all’iniziativa del Lingotto anche Calenda. “Ovviamente la sede legale e fiscale torna a Torino. Perché altrimenti andremo sul surreale” scrive su Twitter il leader di Azione. (agi.it)
Bene. Questo è l’articolo sul tema “prestito FCA” uscito su Repubblica di oggi, domenica 17 maggio 2020:
A seguire gli articoli usciti lo stesso giorno su alcuni altri quotidiani. 1) Corriere della Sera:
2) il Sole 24 Ore:
3) la Stampa:
4) il Tirreno:
Ci fermiamo qui. Avete trovato la differenza? Esatto, non c’è! Senza inoltrarci in discussioni sul tema degli editori “puri” e quelli “impuri” (magari un’altra volta), abbiamo la certezza che fino all’anno scorso questa differenza, per quanto discutibile, ci sarebbe stata, eccome; ma adesso PUF! – scomparsa. È triste prenderne atto, ma il mestiere di quel giornale a quanto pare non è più lo stesso. Qual era allora questo mestiere? Diciamolo. Ad esempio, quello di denunciare le falsità e le ipocrisie: «Ah ecco, non li prendono per sé, ma per i lavoratori e le piccole imprese. Lo fanno per noi.» Piaccia o meno, quello che ora si è preso in carico qualcun altro. Per esempio il Fatto Quotidiano:
«Noi spendiamo ottanta miliardi di euro per la pandemia e nelle prossime settimane vedrete gruppi editoriali e centri di potere che tenteranno di buttare giù il governo. […] Con le manovre che abbiamo approvato mettiamo in circolo denaro come mai accaduto negli anni scorsi. E fa gola. Lo Stato si riappropria di un ruolo a cui aveva rinunciato. In quattro o cinque mesi si definirà un futuro di cinque o dieci anni. Noi alziamo la posta, altri alzano la pressione. Anche gli editori, diciamo non puri, sono interessati a gestire o almeno a sfruttare questo momento straordinario. Qualcuno potrebbe promuovere stravolgimenti della maggioranza.» (Andrea Orlando)
Il dovere del giornalismo dovrebbe essere quello di non sottostare al ricatto del più forte, dovrebbe essere dire la verità, denunciare le prepotenze e le ingiustizie. Insomma quello di non avere un padrone a dettare quello che scrivi. FCA ha sede legale in Olanda (paese free rider che fa dumping fiscale ai danni degli altri paesi dell’Unione) e domicilio fiscale in Gran Bretagna, ma chiede allo stato italiano di farsi garante per il mega prestito richiesto. Sostanzialmente un ricatto. Il fondatore Eugenio Scalfari ha recentemente scritto che “l’anima giornalistica liberal-socialista di Repubblica non può cambiare”. Alla prova dei fatti, pare invece davvero che possa.