Il settimanale culturale della domenica di Repubblica, “Robinson“, il 25 novembre scorso ha pubblicata una “Intervista con Alessandro Baricco di Marco Bracconi” dal titolo Il mio manuale per i giovani Holden. L’intervista inizia così:
“Le mie antologie quando andavo a scuola? Non mi piacevano per niente. I docenti erano bravi, ma i testi su cui ci facevano lavorare erano molto arretrati. Pensi che in primo liceo avevo un professore che aveva scritto una letteratura greca, ed era un insegnante fantastico; malgrado ciò il suo libro era illeggibile. Anche per questo, quando Zanichelli mi ha cercato, mi sono buttato in questa avventura». La seconda luna, progetto di antologie e manuali letterari della Scuola Holden per il biennio delle superiori, è un’avventura che inizia sul palco bolognese di Repubblica delle idee nel 2016, quando Alessandro Baricco si lancia in un’intemerata contro i testi scolastici. Passa qualche giorno e dalla Zanichelli parte la telefonata: “Caro Alessandro, perché allora non ne fai una tu?” (…)
Tutto chiaro, e siamo d’accordo: le antologie scolastiche molto spesso sono scostanti, a volte addirittura illeggibili; rischiano di intimorire i giovani studenti anziché affascinarli e avvicinarli alla letteratura. Perciò Baricco – viene da pensare – ci spiegherà ora nel modo più chiaro quali sono i principi a cui si è attenuto nella redazione del suo nuovo manuale. Continuiamo fiduciosi a leggere:
“Nemmeno due anni dopo ne escono Leggere 1 e 2, Scrivere e Narrare, quattro volumi dall’approccio innovativo « come dev’essere ai tempi del Game », spiega Baricco seduto alla scrivania di preside sulla quale, tra una traduzione di Seta in coreano e un album illustrato di Pinocchio, stanno appoggiate un paio di copie del suo ultimo libro dedicato al mondo di internet. « È pensando agli abitanti del Game che è nata la netta divisione tra parte antologica e teoria letteraria, ed è sempre pensando a loro che abbiamo strutturato esercizi ibridati con l’ambiente dei social network, deciso di inserire solo racconti che iniziano e finiscono e fatto scelte molto poco tradizionali, dove puoi trovare David Foster Wallace o Dave Eggers accanto a Maupassant e Umberto Saba». (…)
Ci domandiamo: “…i tempi del Game…!? …gli abitanti del Game…?!
Baricco ci spiegherà senz’altro… quindi continuiamo:
“Perché avete scelto di separare i testi letterari dalla teoria?
«Lo dirò in modo semplice: non si interrompe un’emozione. La prima cosa che vedi aprendo La seconda luna è che nelle pagine di antologia non ci sono note ai testi. Meglio non capire cosa significa una parola e andare avanti, perché siamo voluti partire dalla fascinazione e dalla necessità di mantenere teso il filo costruito dallo scrittore. A quel punto i ragazzi hanno una strada davanti a loro e, coerentemente con le regole del Game, questa strada li porta a ordinare il materiale nel modo più facile da usare. Noi gli diciamo con chiarezza: qui stai leggendo, qui stai assumendo informazioni, qui invece stiamo parlando di come si scrive. Altre antologie, peraltro splendide, mettono le tre cose una dentro l’altra, così che mentre leggi devi anche imparare a scrivere e intanto memorizzare le regole di narratologia. Ma questo oggetto ( prende lo smartphone in mano ), non è fatto mica così. Con questo clic!, e si parte. E allora con la nostra antologia abbiamo fatto sostanzialmente un iPhone ( ride, ndr)… poi dentro questi libri, come è giusto, ci sono contenuti alti e importanti».”
“…coerentemente con le regole del Game”…!?
Prima o poi lo spiegherà, per forza… Dunque procediamo:
“Così tra gli esercizi per i ragazzi c’è anche scrivere uno stato di Facebook o il messaggio WhatsApp perfetto.
«Certo. Così come c’è il classico riassunto o il test di comprensione. Ma il punto è che un esercizio deve essere veloce e non stupidamente oscuro. Sono i concetti alla base del Game.»” (…)
“I concetti alla base del Game”…
Ancora niente.
“Dice che è arduo immedesimarsi in Renzo e Lucia, eh?
« Beh, sì. Tranne quando incontri l’insegnante pazzesco, quello che riesce sempre e comunque a farti capire che ciò che leggi ti riguarda». All’inizio dei testi è indicato il tempo di lettura, nella teoria abbondano engagement e discorso diretto rivolto allo studente. «Abbiamo avuto l’ossessione di costruire un oggetto che potesse essere usato, che servisse davvero. Anche per questo ho affidato molto della realizzazione delle antologie a persone giovani. Sono loro gli abitanti veri del Game.»” (…)
“Gli abitanti veri del Game”…?
Verrà spiegato forse più avanti:
“Non ci sono brani, solo racconti che iniziano e finiscono.
«È stata una scelta dura, ma fondamentale. Proporre il “brano tratto da” è un modo di fare molto novecentesco, affligge il ragazzo con l’idea che la fatica faccia bene. Se per leggere tre pagine di Maupassant devo prima leggere tutta la storia che contestualizza il brano, e magari poi non so nemmeno come andrà a finire… quanto lavoro devo fare per poter accedere all’esperienza di quelle tre pagine? Se ne può fare a meno, come oggi facciamo a meno del filo del telefono. Meglio un altro tragitto, come nei device del Game: leggere cose che hanno un inizio, uno sviluppo e una fine. (…)
I “device del Game”…?
Ultime righe, ormai:
Su ” Robinson” di qualche settimana fa titolammo il suo dialogo con Ian McEwan “Intellettuali buttatevi nel Game”. E se titolassimo questa intervista “Professori buttatevi nel Game”?
«Direi che sarebbe un ottimo titolo, ne sarei contentissimo. In fondo questo è quello che volevamo fare, e abbiamo fatto».
A proposito, ma perché l’avete chiamata “La seconda luna”?
«Perché forse le storie che tutti leggiamo, scriviamo o raccontiamo non sono che una seconda luna, inventata da noi umani per sconfiggere il buio nelle notti di tempesta».
Così finisce l’intervista, senza spiegare nulla sul “Game”.
Giuseppe Pontiggia, nel magistrale ciclo di venticinque Conversazioni sullo scrivere per il programma Dentro la sera di RAI-Radio (poi pubblicato nel 2016 col titolo Dentro la sera. Conversazioni sullo scrivere da Belleville Editore), nella conversazione 8 ha detto:
«… l’uso del linguaggio settoriale o specialistico, da un punto di vista espressivo, dovrebbe essere evitato, eluso tutte le volte che è possibile. (…) il linguaggio specialistico nasce, appunto, dall’accordo di un gruppo circoscritto di persone circa il significato di certe parole. Ma non è la strada maestra, è una scorciatoia del pensare. (…) Ricordo d’aver fatto una conferenza a Milano, anni fa, in cui parlavo delle forme del linguaggio autoritario e vedevo nell’uso del gergo per esempio medico o per esempio tecnico, scientifico in certi casi, una delle forme del linguaggio autoritario.»
Giulio Ferroni, nel suo saggio “Profondità di superficie” contenuto in “Sul banco dei cattivi – A proposito di Baricco e di altri scrittori alla moda (Donzelli, 2006) scrive: «Al suo lettore Baricco garantisce che è possibile trarre alla luce ciò che è difficile, complicato, insondabile, che l’intrico dei linguaggi della comunicazione può essere catturato senza sofferenze, ma come giocando e conversando, come scambiandosi delle battute con il vicino di poltrona nell’intervallo dello spettacolo. (…) In questa sua funzione di rivelatore della profondità, di maieuta che mostra come ciò che è difficile possa in definitiva risultare facile, lo scrittore afferma tutto il proprio prestigio spettacolare, l’eccezionalità della propria posizione. (…)
Egli vi dice che che il banale è essenziale, che la mediocrità è distinzione, che il facile è difficile, e per converso che l’essenziale è banale, che la distinzione è mediocrità, che il difficile è facile: ma, nel modo in cui ve lo dice, nel percorso attraverso cui giunge a rivelarvelo, sancisce continuamente il proprio essere dalla parte di un’essenzialità, di una distinzione, di una difficoltà, di qualcosa che comunque resta inafferrabile e segreto, che dovete considerare di sua suprema competenza, dono esclusivo del suo essere artista (…)
Un singolare nichilismo buonista e mediatico, narcisistico e combinatorio, quello di Baricco, che ha tanto successo perché va incontro alla brama di illusione, di proiezione estetica facile e “dolce”, di spettacolo leggero ed evanescente, di progressismo senza distinzione e senza contraddizione, della buona coscienza culturale contemporanea. Abbiamo bisogno di tessuti diversi.»
A proposito di auto-referenzialità. Ci credereste? Alessandro Baricco ha appena pubblicato un libro dal titolo The Game – (Einaudi Stile Libero Big, 2018). La prossima volta che vi imbattete in un’intervista con Alessandro Baricco, perciò, prima comprate il libro appena pubblicato, leggete prima il libro poi l’intervista. Come si vede, lui lo dà per scontato. L’arroganza intellettuale è la premessa necessaria (e forse sufficiente) del linguaggio narcisistico e autoritario.
In testata: M.C. Escher, Mani che disegnano – Litografia, 1948. L’illustrazione che segue è di Zerocalcare (2018)
Guarda, sono stata grata di avere avuto una otite e di NON avere potuto proseguire la supplenza presso un Istituto Tecnico del Parmense ove questa antologia era stata adottata.
Evidentemente, senza troppa lungimiranza.
Nella breve lezione che sono riuscita a fare, i ragazzi mi hanno confermato che faticano ad usare un testo come questo, che li costringe a saltabeccare da un paragrafo all’altro, che ha le schede bibliografiche in fondo al volume.
Oltretutto, l’incipit è agghiacciante.
Praticamente Baricco dice che le stelle siano nell’universo disposte in ordine casuale (il che è falso: precise leggi della fisica determinano distanze e la vita stessa delle stelle). Che cambia dal punto di vista dell’osservatore il fatto che esse siano raggruppate in costellazioni.
E che suddette costellazioni costituiscono una storia. Chi sarebbe disposto ad entrarvi è un potenziale narratore.
Boh, io sono desolata.
Ma che razza di utilità ha presentare una antologia senza note di testi in gran parte stranieri (non è che sia sciovinista, ma santo cielo…) e tradotti, se non quella di proporre la lingua media degli editor, di cui Baricco è principe?
Grazie del commento Roberta. Tom Wolfe non è certo stato il mio intellettuale di riferimento, ma quando ha individuato con il termine Radical Chic l’emergere della “gauche caviar” o il “progressismo da limousine”, ha fatto centro. Baricco & c. rappresentano appunto quel finto” progressismo senza distinzione e senza contraddizione, della buona coscienza culturale contemporanea” che cavalca (o crede di cavalcare) l’onda anziché cercare di indirizzarla. Il degrado ne consegue in automatico, poiché il vuoto determinato dal narcisismo falso e superficiale – spacciato per profondità snob-intellettualistica – viene riempito dalla superficialità autentica ma volgare della cosiddetta pancia popolare. Ciao Maurizio