Una questione vecchia come il cucco

In Italia non è ancora uscito, ma in America ha già suscitato un fiume di discussioni. Il libro di Claire Dederer, “Monster. A fan’s dilemma” pone la consueta domanda: ” Possiamo ancora apprezzare i quadri, i film, i libri, la musica, in altre parole l’arte di artisti di cui scopriamo che hanno fatto cose discutibili o addirittura terribili?” Un vecchio problema che deriva dall’ipocrita rifiuto di accettare la natura umana così com’è davvero.

Grazie, Ryūichi Sakamoto

Ryuichi Sakamoto è morto all’età di 71 anni dopo una lunga battaglia contro il cancro.
Lo ha reso noto la sua agenzia, a distanza di qualche giorno dalla scomparsa, avvenuta martedì. (ANSA)

Le cose di Stifter

Stifter’s Dinge (Le cose di Stifter) di Heiner Goebbels – compositore e musicista tedesco, sperimentatore e creatore di installazioni tecno/performative – è una performance dedicata allo scrittore, poeta e pittore boemo di inizio Ottocento Adalbert Stifter. Stifter’s Dinge è – secondo le parole del compositore e regista tedesco – “una composizione per cinque pianoforti senza pianisti, una rappresentazione teatrale senza attori, una performance senza performer, in pratica un no-man show”. Le voci sono di William S. Burroughs, Malcolm X e Claude Lévi-Strauss, che racconta il suo piacere del viaggiare ma anche il suo desiderio di solitudine e la sua assoluta mancanza di fiducia nei confronti dell’uomo. Cinque amplificatori, cinque pianoforti disposti in verticale i cui martelletti sono guidati meccanicamente per produrre suoni, oppure rovesciati, aderenti a piastre di metallo, insieme a sacchetti di plastica che si riempiono con getti d’aria; e poi rulli, ventole, piatti, il tutto all’interno di una piattaforma che si muove avanzando impercettibilmente su rotaie verso il pubblico. In posizione ravvicinata rispetto al pubblico, tre vasche di eguali dimensioni che vengono riempite di sale e poi d’acqua. Impalpabili superfici che accolgono ombre, riflessi, parole, paesaggi mossi dalle vibrazioni acustiche. (Wolf Vostell) Un estratto di undici minuti della performance.

La vita impossibile

“Preservare completamente se stessi, conservando traccia di ogni istante, di ogni oggetto con cui abbiamo avuto a che fare”. Così scriveva Christian Boltanski all’inizio della sua carriera. Trent’anni dopo, l’artista ha concepito un’installazione murale con lo stesso titolo della sua prima esposizione personale e del suo primo film. Un gruppo di vetrine schermate da una griglia ospita numerose, svariate testimonianze della sua vita, tanto personali quanto insignificanti. Anziché contribuire alla esemplare descrizione di una vita, le spesso illeggibili tracce documentali testimoniano invece l’impossibilità di ricostruire qualsiasi vita. Sebbene scrupolosamente assemblati, tutti questi documenti non soddisfano affatto la memoria dell’essere. (Traduzione della targhetta al Centro Pompidou di Parigi, collezione permanente, di “La vie impossible de C.B.” – 2001)

L’uomo di Porlock

Il “Kubla Khan”, o “Visione in sogno”, è un poemetto di Samuel Taylor Coleridge. Nel 1797, trovandosi in una casa di campagna tra Porlock e Linton, dopo aver assunto dell’oppio si addormentò e fece un sogno. Dopo essersi risvegliato iniziò a scrivere il poema ispirato dal sogno, ma venne interrotto dalla visita di un tale di Porlock. Questa interruzione gli fece però dimenticare il resto dei versi, così il poema non fu mai più completato.

Aura cercasi e non solo

La Gioconda su un foulard o l’incisione di un concerto di Ravel diretto dall’autore stesso e ogni giorno riascoltabile sono due esemplificazioni di quel fenomeno che Benjamin definisce la «perdita dell’aura» nell’epoca della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, ossia la perdita del «qui e ora» magico e unico che si fonde con la creazione artistica e la contraddistingue. Nel chiuso di un’automobile, ad esempio, mediante un mangianastri si può ascoltare quel concerto di Ravel al di fuori della sua unicità spazio-temporale, oggettivandolo e spersonificandolo. Nondimeno, la perdita del carisma insito nell’opera d’arte, «unica» eppure riprodotta, non è deplorata da Benjamin con quell’atteggiamento aristocratico che contraddistingue alcuni esponenti della Scuola di Francoforte. Egli collega infatti la «perdita dell’aura» nella società contemporanea all’irruzione delle masse sulla scena e alla loro richiesta di beni culturali che è giocoforza diventino merce. La riproduzione dell’opera d’arte in «sede impropria» non ne comporta una perdita di qualità, ma piuttosto una desacralizzazione, il che favorisce un’esperienza laica della cultura e ne sostituisce il valore rituale con un valore espositivo antiestetizzante. (Dalle note di copertina)

Magìa

Il 20 aprile 1992 al Wembley Stadium di Londra si è tenuto il Freddie Mercury Tribute, concerto in ricordo di Freddie Mercury, scomparso il 24 novembre 1991 all’età di 45 anni. Quella sera Annie Lennox e David Bowie hanno interpretato “Under Pressure” (“Sotto Pressione”), un brano scritto dallo stesso Bowie assieme ai Queen: talento e carisma allo stato puro.

Competenze non cognitive

Nel gennaio scorso la nostra Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità una proposta di legge mirata «all’introduzione sperimentale delle competenze non cognitive nel metodo didattico». Ma cosa sono queste astruse «competenze non cognitive»? Qualcuno degli oltre trecento deputati che hanno espresso il loro sì ne hanno una qualche vaga idea? Perché la scuola del dopoguerra non si era mai proposta di formare un tipo standard di persona modellata secondo specifiche decise in precedenza come se fosse una macchina.

Cinema e pittura

“Shirley: Visions of Reality” è un film del 2013 diretto da Gustav Deutsch. Ogni scena riproduce un quadro del pittore americano Edward Hopper. 

Architetti gravitazionali

Il 22 maggio è stata inaugurata a Venezia la 17ª Mostra Internazionale di Architettura, che proseguirà fino al novembre e ha per titolo: How will we live together? (Come vivremo insieme?).  «Poniamo questa domanda agli architetti perché non siamo soddisfatti delle risposte offerte dalla politica», ha dichiarato il direttore Hashim Sarkis. L’impressione che se ne ricava è però che molti espositori abbiano usato la Biennale Architettura per presentare un proprio lavoro da artista e che la presenza degli artisti serva a presentare gli architetti come artisti.