La parola che manca

Scriveva Daniele Del Giudice: “E’ così comica quest’ultima incarnazione dello scrittore a fine secolo a casetta a fare un libro dietro l’altro!” senza più “nessun sentimento di precarietà e di rischio nella propria impresa narrativa”. Sono passati quasi 30 anni da queste parole e l’immagine di scrittori occupati solo a sfornare titoli uno via l’altro nella beata assenza di un dubbio, di un interrogarsi sul senso del proprio narrare, è tragicamente il pane quotidiano, e sempre più insipido. Forse, mi dico, fa parte della disperazione attuale in tutti i campi per il profondo nonsenso che avvertiamo e non solo nei confronti dell’arte, ma in generale nei confronti del cosiddetto vivere civile. Abbiamo dato per scontate la pace e la democrazia, per dire, e ci troviamo instabili e minacciati. (Sandra Petrignani)

Senza parole

Io voglio vedere con i miei occhi il daino sdraiato accanto al leone e la vittima che si alza ad abbracciare il suo assassino. Voglio essere presente quando d’un tratto si scoprirà perché tutto è stato com’è stato. Tutte le religioni di questo mondo si basano su questa aspirazione, e io sono un credente. Ma ci sono i bambini: che cosa dovrò fare con loro? È questa la domanda alla quale non so dare risposta. Per la centesima volta lo ripeto: c’è una miriade di questioni, ma ho preso soltanto l’esempio dei bambini, perché nel loro caso quello che voglio dire risulta inoppugnabilmente chiaro. Ascolta: se tutti devono soffrire per comprare con la sofferenza l’armonia eterna, che c’entrano qui i bambini? Rispondimi, per favore. È del tutto incomprensibile il motivo per cui dovrebbero soffrire anche loro e perché tocca pure a loro comprare l’armonia con le sofferenze. Perché anch’essi dovrebbero costituire il materiale per concimare l’armonia futura di qualcun altro? La solidarietà fra gli uomini nel peccato la capisco, capisco la solidarietà nella giusta punizione, ma con i bambini non ci può essere solidarietà nel peccato, e se è vero che essi devono condividere la responsabilità di tutti i misfatti compiuti dai loro padri, allora io dico che una tale verità non è di questo mondo e io non la capisco. (Fëdor Michajlovic Dostoevskij, I fratelli Karamàzov – trad. di Maria Rosaria Fasanelli, Garzanti, Milano)

L’inquietante genere umano

Ha scritto Gabriel García Márquez che tutti gli esseri umani hanno tre vite: una pubblica, una privata e una segreta. Si può sostenere che la personalità più o meno sincera e autentica di tutti noi scaturisce di volta in volta dal perenne conflitto tra queste vite diverse: dalla nostra capacità (o incapacità) di trovare un instabile compromesso interiore tra forze violentemente discordanti. Del resto, la storia e l’attualità rafforzano l’ipotesi che – di tanto in tanto – l’umanità sia dominata da impenetrabili forze oscure.

Il tragicomico ministero dell’incultura

Il Ministero della cultura (MiC) è un dicastero del governo italiano. È preposto alla tutela della cultura e dello spettacolo e alla conservazione del patrimonio artistico, culturale e del paesaggio. Nato nel 1974 come Ministero per i beni culturali e ambientali, negli anni ha assunto diverse denominazioni. L’attuale ministro è Gennaro Sangiuliano, in carica dal 22 ottobre 2022. (da Wikipedia)

La cultura vale più della politica

Ischia, sera del 28 luglio 1883. A un sordo boato segue un violento terremoto. Il giovane Benedetto Croce – che soggiornava sulla collina di Casamicciola – perse la madre, il padre, la sorellina; lui rimase una notte e un giorno sepolto fino al collo. Il giorno dopo Benedetto fu estratto da due soldati; sulla sua salvezza è nata in tempi recenti una polemica tra Roberto Saviano e Marta Herling, nipote di Croce: secondo l’autore di Gomorra il giovane si salvò perché seguì il consiglio del padre morente che gli avrebbe detto «offri centomila lire a chi ti salva». Comunque sia, per fortuna Croce si è salvato ed è diventato il grande filosofo e intellettuale che sappiamo. L’isola, invece, dopo centoquaranta anni di “ricostruzione” è oggi un vero e proprio esempio di devastazione eco-urbanistica.

Il bene, il male

Buona parte dei viventi non si cura di definire il “bene”. In che cosa consiste, il bene? A chi lo si fa? Chi lo fa? Esiste un bene comune, applicabile a ogni uomo, a ogni razza, a ogni circostanza? Oppure il mio bene è il tuo male, e il bene del mio popolo il male del tuo? È eterno, il bene, immutabile, o forse quello che ieri era bene oggi diventa vizio, e il male di ieri è il bene di oggi? (Vasilij Grossman)

Tartufi

Morale e moralismo non sono la stessa cosa. La persona davvero morale difende l’importanza di certi valori, cerca di uniformare ad essi il PROPRIO comportamento e si sente chiamato a risponderne. Il moralista, invece, invoca una moralità vaga e sclerotizzata che riguarda soprattutto gli altri: la cosiddetta “società”, di cui in fondo ha paura e da cui cerca di proteggersi tentando di normalizzarla con parametri personali.

Un pericolo pubblico: l’architetto

Dal preambolo al Codice deontologico dell’architetto: “La professione di Architetto (…) è espressione di cultura e tecnica che impone doveri nei confronti della Società, che storicamente ne ha riconosciuto il ruolo nelle trasformazioni fisiche del territorio, nella valorizzazione e conservazione dei paesaggi, naturali e urbani, del patrimonio storico e artistico e nella pianificazione della città e del territorio, nell’ambito delle rispettive competenze (…) Per poter svolgere al meglio il suo compito, il Professionista ha il dovere di conservare la propria autonomia di giudizio e di difenderla da condizionamenti esterni di qualunque natura. Con la sua firma, dichiara e rivendica la responsabilità, intellettuale e tecnica, della prestazione espressa.”

Un anno dopo

Un anno di guerra: cade in queste ore il triste anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina. L’impensabile nel cuore dell’Europa. Quello che gli stessi Paesi confinanti non volevano credere e che gli Stati Uniti invece prevedevano come imminente si scatenò nella notte del 24 febbraio 2022. Doveva essere una guerra lampo, con un attacco su tre fronti per arrivare a prendere i palazzi del potere di Kiev, dove insediare un governo fantoccio guidato da Mosca. Ma la reazione ucraina e i cattivi piani del Cremlino hanno fatto sì che quel progetto fallisse e che dal previsto blitzkrieg si passasse al più tragico e sanguinoso conflitto accesosi nel Vecchio Continente dal 1945. L’Alto commissariato per i diritti umani dell’Onu ha conteggiato finora 8.006 civili morti e 13.287 feriti. I bambini uccisi sono 487 e 954 quelli feriti. Si tratta di dati sottostimati, perché l’Ucraina non fornisce cifre, principalmente per non deprimere il morale del Paese durante la resistenza all’aggressione (solo a Mariupol si parla di oltre diecimila vittime). (da Avvenire.it)

Il mostro della porta accanto

La prima cosa che può venire in mente a chiunque, eppure non viene in mente agli “addetti ai lavori”, è che una volta che si riesce a farsi considerare artisti su cui investire, perfino senza ragione o quasi, da quel momento in poi si può fare qualunque cosa e questa cosa sarà considerata una significativa opera d’arte su cui riversare sofisticate teorizzazioni estetiche, etiche e politiche. (Alfonso Berardinelli)