Competenze non cognitive

SETACCI. Carlo Dossi iniziò a scrivere le sue Note azzurre attorno al 1870; continuò a mettervi mano fino al 1907, poco prima che lo colpisse l’ictus che lo portò alla morte nel 1910. Sedici quaderni con copertina azzurra (da cui il nome): questo fu per lui il libro di tutta una vita, nel quale raccolse annotazioni dei tipi più diversi e una ricca aneddotica, quest’ultima soprattutto concentrata sui tre argomenti preferiti: la follia, il mondo della burocrazia e la vita milanese. Nella nota azzurra n. 4847 Dossi scrive:

«Un amico, dotto e intelligentissimo, mi dice: “dovresti scrivere, Dossi mio, in forma più popolare, tralasciando certe parole che non si capiscono dai molti e però fanno abbandonare il libro.” – Rispondo: a piacer tuo. Eccoti una matita e segna queste parole. – L’amico prende un mio libro, legge e comincia a segnare. Egli conosce non scarsamente la lingua italiana e però non sottolinea, in media, che un pajo di parole per pagina che io sostituisco con altrettante più facili». Passato poi il libro così corretto ad altra persona meno istruita di quell’amico, questa ne segna, in media, 6 o 7 per pagina; lo passa poi «ad altra persona, di un grado ancora minore di cultura e d’intelligenza, e così via − scendendo − va fino ad arrestarsi alle soglie del completo analfabetismo. Allora, dopo averlo ricorretto di mano in mano come vorrebbe il signor popolo, ripresento il libro al primo lettore. Ahimé! colle parole sono scoloriti anche i pensieri, ché la parola non è altro infine se non pensiero: a forza di stacciare il composto del libro, tutto il sugo ne è uscito e non rimane più che la feccia. Quanto resta, tutti lo capiscono, è vero, ma a nessuno piace − Il letterato che non scrive pei pochi è letterato di ben poco valore.»

OMBRELLI. Sappiamo che il Centro Georges Pompidou – cioè il Beaubourg, come lo chiamano i parigini – fu costruito per volontà di Georges Pompidou, presidente della Repubblica francese dal 1969 al 1974, su progetto degli architetti Renzo PianoGianfranco Franchini e Richard Rogers, i quali vinsero il relativo concorso internazionale. Inaugurato il 31 gennaio 1977 dal presidente della Repubblica Valéry Giscard d’Estaing in presenza del Primo ministro Raymond Barre, della vedova di Georges Pompidou, Claude Pompidou, e di numerosi capi di Stato esteri, da allora ogni sabato accoglie circa 30.000 visitatori. Quel giorno Roberto Rossellini consigliò a Piano e Rogers di non guardare l’edificio, ma di guardare piuttosto gli occhi della gente che guardava l’edificio. Detto fatto, “una volta sotto la pioggia davanti al Beaubourg, dissi a una turista che l’avevo disegnato io: lei mi prese a ombrellate”, raccontò Rogers.

D’altra parte sappiamo anche che Marcel Duchamp, con i suoi ready- made, trasformò un prodotto qualsiasi in un oggetto d’arte, semplicemente mettendolo su un piedistallo e firmandolo. Lo fece per la prima volta nel ’ 14 con lo “scola-bottiglie” di ferro zincato. Ma mentre era impegnato in un viaggio negli Stati Uniti, la sorella lo buttò via. Nella gallerie vengono perciò presentate le sue repliche degli anni Sessanta.

AMMENDE. «Un amico mi ha mostrato un decreto di citazione urgente da parte dell’Unep (Ufficio notificazioni esecuzioni e protesti). per conto della procura della Repubblica, notificato affinché compaia come testimone davanti al Tribunale di Milano. Dopo avergli ricordato che “dovrà rispondere alle domande secondo verità” (per la burocrazia l’ovvio non esiste), il decreto avvisa che “in caso di mancata comparizione non dovuta a legittimo impedimento, sarà condannato al pagamento della somma da lire centomila a lire un milione (per evitare equivoci, “lire” è specificato due volte. Niente di strano, se il decreto non fosse datato 21 ottobre 2021: vent’anni dopo che la lira è andata fuori corso. Ignoranza della procura di Milano? Impossibile, perché il decreto è firmato dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale, responsabile di un Ufficio che ha gestito alcune tra le più importanti inchieste finanziarie degli ultimi anni, ed è quindi sicuramente al corrente dell’esistenza dell’euro. E poi in Italia vige il sacro principio del garantismo: non si può fare nulla, men che meno una procura, che non sia specificato da una norma; anche se la norma rasenta l’assurdo.

In effetti è così: l’art. 142 del decreto legislativo 271 del 28 luglio 1989 specifica il testo esatto di tutti i decreti di citazione della Repubblica italiana, incluso l’importo in lire dell’eventuale ammenda da comminare. Poiché la giustizia deve applicare la legge rigorosamente, non spetta a lei chiedere al legislatore di cambiare il testo di una norma perché le lire non esistono più. Quando fu emanata la legge, in effetti la moneta legale era la lira, e il legislatore non poteva sapere che l’Italia avrebbe firmato tre anni dopo un trattato che avrebbe introdotto il corso legale dell’euro. Non ci voleva però una grande lungimiranza per stabilire alla vigilia della moneta unica, con un’apposita norma, che tutte le ammende espresse in lire venissero convertite in euro dopo lo storico passaggio. Ora però si apre una questione spinosa: se il mio amico non si fosse presentato a testimoniare e gli fosse stata comminata l’ammenda, avrebbe potuto opporre alla procura di Milano il “legittimo impedimento” a pagarla in quanto impossibilitato a farlo in lire?» (Alessandro Penati – Domani, 21 dicembre 2021)

NON CAPISCO MA MI ADEGUO. Nel gennaio scorso la nostra Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità una proposta di legge mirata «all’introduzione sperimentale delle competenze non cognitive nel metodo didattico». Che cosa significa questa astrusa formulazione delle “competenze non cognitive”, che cosa sono? […] Detto in breve, vuol dire che d’ora in avanti nel corso del loro insegnamento i docenti dovranno fare in modo, secondo i fautori, d’inculcare e/o d’incrementare negli alunni quei comportamenti positivi e di adattamento che rendono capaci di far fronte alle evenienze più varie della vita quotidiana. E quindi addestrare all’”autocontrollo”, alla “stabilità emotiva”, all’”empatia”, alla “fiducia in se stessi” e alla “resilienza”, a “gestire le emozioni e lo stress”, a “comunicare”, a “prendere decisioni” e a “risolvere problemi”. Sono queste per l’appunto le cosiddette soft skills, al cui insegnamento/propagazione dovrebbe piegarsi la scuola per formare il carattere degli allievi. […]

Ora sappiamo che i deputati della Repubblica  pensano che il carattere vada determinato fin dall’infanzia (non dimentichiamo che l’auspicata svolta didattica si applica a tutto il ciclo scolastico) secondo un format prestabilito di «skill», di “abilità”. Abilità a che cosa? Lo avrebbero capito se avessero letto quanto predica da tempo il Centro di ricerca educativa dell’Ocse, che di questa svolta didattica è da sempre a livello europeo il fautore più indefesso. In sostanza abilità a integrarsi senza problemi nella società com’è (in particolare a quella sua parte che ha a che fare con il mondo del lavoro), ad adeguarsi con successo ai suoi precetti, a introiettare le sue norme “auto controllandosi” e mostrandosi capaci di “risolvere i problemi”. […] La verità viene così finalmente a galla. Le “competenze non cognitive” sono lo strumento perché la scuola perda la sua natura antica e sempre nuova. Perché smetta cioè di essere il luogo dell’apprendimento e della formazione civile e culturale delle nuove generazioni. E si trasformi invece in una generica agenzia dell’accudimento sociale al cui interno diviene sempre più largo uno spazio di psico-medicalizzazione volto al controllo normalizzatore della personalità dei suoi allievi.» (Ernesto Galli della Loggia, Corriere della Sera, 28 gennaio 2022)

L’obiettivo è perciò una formazione modellata su specifiche esigenze predefinite dall’alto. Solo parole facili e comprensibili a tutti, da un lato; normative complesse, contraddittorie e inestricabili (ma interpretabili da pochi), dall’altro. Il setaccio infittisce la sua trama.

Nell’immagine in testata: Marcel Duchamp, Scolabottiglie, 1914. Ready-made (replica dell’originale perduto, 1964). Milano, Studio Schwarz.

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