Cosa resta dell’onore

«Caro Aldo, in virtù di quale diritto e conoscenza ha potuto affermare che gli italiani che decisero di rimanere legati alla loro Patria ed al sistema politico in essere da decenni in Italia «andarono a Salò a combattere per Hitler contro altri italiani»? Mio padre pilota dell’aeronautica italiana fu uno di quelli, e lo fece onorando il giuramento di fedeltà alla Patria prestato quando divenne ufficiale. Non volle, opportunisticamente, «cambiare casacca» e non lo fece certamente per andare a combattere contro altri italiani che al contrario lo fecero! Mi aspetto delle scuse. Claudio Cappellini

Gentile signor Cappellini,

La sua lettera è molto dura, ma non mi sottraggo. Spesso mi accade di essere in sintonia con i lettori; ma a volte è dalla contrapposizione che scaturiscono le conversazioni più interessanti. La prego, però: non ne faccia una questione familiare. La memoria dei nostri padri e dei nostri nonni è sacra per tutti noi. E tutte le persone che non ci sono più meritano il nostro rispetto. Però la Seconda guerra mondiale e la guerra civile non sono una questione di famiglia.

Parlando in termini generali, c’è un punto nella sua lettera che non mi convince. Lei scrive che chi si schierò con i tedeschi invasori e con la Repubblica di Salò «onorò il giuramento di fedeltà alla Patria» e rifiutò di «cambiare casacca». È un’opinione molto diffusa. Purtroppo è un’opinione sbagliata. Il giuramento di fedeltà, prestato al re, capo dello Stato («padre della patria» è scritto tuttora sulla tomba di Vittorio Emanuele II, padre di Vittorio Emanuele III), obbligava appunto a seguire il re; non il Duce. Questa è una cosa che Carlo Azeglio Ciampi, non un bolscevico, ha ripetuto per tutti i sette anni passati al Quirinale; e questo nonostante il suo giudizio storico sulla monarchia fosse molto severo (fu l’unico ministro del governo Prodi a votare contro il rientro dei Savoia).

Lo Stato legittimo non era la Repubblica sociale, Stato fantoccio nelle mani di Hitler; lo Stato legittimo era quello che chiese l’armistizio agli Angloamericani, e dopo l’8 settembre combatté al loro fianco per liberare l’italia dagli invasori tedeschi. Lo fecero decine di migliaia di militari, di carabinieri, di partigiani. Quindi chi andò a Salò andò oggettivamente anche a combattere altri italiani. Molti lo fecero in buona fede, convinti di servire la patria; tanti per convinzione, tanti perché costretti dai bandi Graziani. Ma davvero lei è convinto che bisognasse combattere con Hitler fino alla totale distruzione dell’italia? Che fosse giusto schierarsi con chi mandava gli ebrei italiani e in genere europei ad Auschwitz?

Nei due fronti della guerra civile non c’erano i buoni da una parte e i cattivi dall’altra; questo è ovvio. Ma c’erano una parte giusta e una parte sbagliata. Questo — ribadendo il rispetto per tutti coloro che non ci sono più — dovrebbe essere altrettanto ovvio.» (Aldo Cazzullo – Corriere della Sera, 28 maggio 2020)

La regola del gioco è un film di Jean Renoir del 1939. Jean Renoir, il regista stesso, vi recita la parte di Octave, musicista fallito e squattrinato, che in una famosa scena dice: «Non vorrei più dover distinguere il bene dal male. La cosa terribile è che tutti hanno le loro ragioni.» Renoir era convinto che gli uomini nelle loro vite creano un velo che nasconde le meraviglie del mondo reale; i suoi film cercano di restituire questa gioia.

Tale gioia però non può essere scoperta senza scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato o – peggio – decidere che è giusto solo ciò che è comodo o familiare, a prescindere. L’onore, ovvero la spinta ad agire in virtù di un ideale: non dimentichiamo che esso viene ritenuto da molti motivo e giustificazione sufficienti per crimini odiosi (l'”onorata società“), a partire dalla violenza contro le donne fino ai “delitti d’onore”. Onore e rispetto: la famiglia secondo la mafia. Pur di vendersi, ogni prodotto crea la propria facciata pubblicitaria.

Qui sopra: manifesto Benetton di Oliviero Toscani – Omicidio della mafia (fotografia di Franco Zecchin)

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