SHERLOCK HOLMES mi è sempre stato antipatico. Ecco, l’ho detto. Non mi ero mai domandato il motivo; forse un po’ per pigrizia, un po’ perché a dire il vero ci sono domande più importanti nella vita. Tuttavia quando mi è capitato di pensarci un po’ su, la relativa risposta è apparsa meno banale e scontata di quanto credevo all’inizio. Provo a spiegarmi.
Uno studio in rosso (A Study in Scarlet) è il primo romanzo di Sir Arthur Conan Doyle sulle avventure del celebre detective, pubblicato nel 1887. In questa storia si assiste al primo incontro avvenuto all’incirca nel 1878 tra Sherlock Holmes e John Watson, un ex medico militare appena tornato dalla guerra in Afghanistan a causa di ferite alla spalla e al ginocchio. Watson, parlando con il vecchio amico e collega Stamford, dice di essere in cerca di un alloggio a buon prezzo; al sentire ciò, Stamford gli menziona allora Sherlock Holmes, che sta cercando qualcuno per dividere l’affitto di un appartamento al 221B di Baker Street. Stamford porta Watson al laboratorio dove Holmes sta compiendo degli esperimenti con un reagente per il rilevamento della emoglobina. (da Wikipedia) Il loro incontro viene descritto così:
«– Il dottor Watson, il signor Sherlock Holmes – ci presentò Stamford.
– Tanto piacere – disse Holmes in tono cordiale, stringendomi la mano con una forza di cui non l’avrei creduto capace. – A quanto vedo, lei è stato nell’Afghanistan.
– Come fa a saperlo? – domandai stupefatto.
– Lasci perdere – fece lui ridacchiando. -»
Mah. Successivamente, bontà sua, Holmes si degnerà di spiegare così la sua “intuizione” sulla provenienza di Watson:
«… Per lunga abitudine, il lavorio della mia mente è così rapido, che sono arrivato a quella conclusione senza esser conscio dei passaggi intermedi. Però, ci sono stati dei passaggi intermedi. Ecco il filo del mio ragionamento: quest’uomo ha qualcosa del medico, ma anche qualcosa del militare. È reduce dai Tropici, poiché ha il viso molto scuro, ma quello non è il suo colorito naturale, dato che ha i polsi chiari. Ha subìto privazioni e malattie, lo dimostra il suo viso emaciato. Inoltre, è stato ferito al braccio sinistro. Lo tiene in una posizione rigida e poco naturale. In quale paese dei Tropici un medico dell’esercito britannico può essere stato costretto a sopportare dure fatiche e privazioni, e aver riportato una ferita a un braccio?
Nell’Afghanistan, naturalmente. S’intende che il mio cervello ha impiegato meno di un secondo a formulare questo sequenza di pensieri. Allora, le ho detto che veniva dall’Afghanistan, e lei è rimasto sbalordito.» Elementare, Watson?
INVEROSIMILE, più che altro. Per di più, il nostro investigatore persegue con metodo ostinato anche una profonda ignoranza. Racconta Watson:
«La sua ignoranza era notevole quanto la sua cultura. In fatto di letteratura contemporanea, di filosofia e di politica, sembrava che Holmes sapesse poco o nulla. Una volta mi accadde di citare Thomas Carlyle. Mi chiese nel modo più ingenuo chi era e che cosa avesse fatto.
Ma la mia meraviglia giunse al colmo quando scoprì casualmente che ignorava la teoria di Copernico nonché la struttura del sistema solare. Il fatto che un essere civile, in questo nostro XIX secolo, non sapesse che la Terra gira attorno al Sole mi pareva così straordinario che stentavo a capacitarmene.
– Vede – mi spiegò – secondo me, il cervello d’un uomo, in origine, è come una soffitta
vuota: la si deve riempire con mobilia a scelta. L’incauto v’immagazzina tutte le mercanzie
che si trova tra i piedi: le nozioni che potrebbero essergli utili finiscono col non trovare più
il loro posto o, nella migliore delle ipotesi, si mescolano e si confondono con una quantità d’altre cose, cosicché diventa molto difficile trovarle. Lo studioso accorto invece, seleziona accuratamente ciò che immagazzina nella soffitta del suo cervello. Mette solo gli strumenti che possono aiutarlo nel lavoro, ma di quelli tiene un vasto assortimento, e si sforza di sistemarli nel miglior ordine. È un errore illudersi che quella stanzetta abbia le pareti elastiche e possa ampliarsi a dismisura. Creda a me, viene sempre il momento in cui, per ogni nuova cognizione, se ne dimentica qualcuna appresa in passato.
Per questo è molto importante evitare che un assortimento di fatti inutili possa togliere lo
spazio di quelli utili (…) Egli diceva di non voler imparare nulla che non avesse attinenza coi suoi fini. Quindi, quasi tutte le cognizioni che possedeva avevano per lui una precisa utilità.»
Vorreste avere un simile amico? Personalmente, cercherei con tutti i mezzi di evitarlo.
DI PADRE BROWN, invece, pur non essendo religioso, farei molto volentieri la conoscenza: “Il personaggio letterario padre Brown è un presbitero e investigatore, protagonista di oltre cinquanta racconti gialli dello scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton. (…) Nelle sue Lettere dal carcere, Gramsci scrive: «Il padre Brown è un cattolico che prende in giro il modo di pensare meccanico dei protestanti e il libro è fondamentalmente un’apologia della Chiesa Romana contro la Chiesa Anglicana. Sherlock Holmes è il poliziotto “protestante” che trova il bandolo di una matassa criminale partendo dall’esterno, basandosi sulla scienza, sul metodo sperimentale, sull’induzione.
Padre Brown è il prete cattolico, che attraverso le raffinate esperienze psicologiche date dalla confessione e dal lavorio di casistica morale dei padri, pur senza trascurare la scienza e l’esperienza, ma basandosi specialmente sulla deduzione e sull’introspezione, batte Sherlock Holmes in pieno, lo fa apparire un ragazzetto pretenzioso, ne mostra l’angustia e la meschinità. D’altra parte Chesterton è un grande artista, mentre Conan Doyle era un mediocre scrittore, anche se fatto baronetto per meriti letterari; perciò in Chesterton c’è un distacco stilistico tra il contenuto, l’intrigo poliziesco e la forma, quindi una sottile ironia verso la materia trattata che rende più gustosi i racconti.»” (da Wikipedia)
La prima apparizione di padre Brown è nel racconto La croce azzurra, mentre approda con un piroscafo ad Harwich. Valentin, un detective francese, giunge in Inghilterra (ad Harwich) per arrestare il criminale più ricercato del mondo, Flambeau, che si è travestito da prete ed intende rapinare proprio padre Brown. Che lo smaschera in questo modo:
“«Come diavolo fa a conoscere tutti questi orrori?», esclamò Flambeau. L’ombra di un sorriso attraversò il viso semplice e rotondo del prete. «Oh, dato che sono un celibe sempliciotto, suppongo», disse. «Non le è mai venuto in mente che quando un uomo non fa quasi nient’altro che ascoltare i reali peccati degli uomini, non è facile che resti completamente all’oscuro del male del mondo? Ma, ad essere precisi, quanto a questo, un’altra parte del mio mestiere mi ha dato la certezza che lei non era un prete.» «Che cosa?», fece il ladro, quasi a bocca aperta. «Ha attaccato la ragione», disse Padre Brown. «E questa è cattiva teologia.» E mentre si voltava per radunare le sue cose, i tre poliziotti uscirono da dietro gli alberi scuri nel crepuscolo. Flambeau era un artista e uno sportivo. Fece un passo indietro e un grande inchino a Valentin. «Non si inchini a me, mon ami», disse Valentin, con argentina chiarezza. «Inchiniamoci entrambi al nostro maestro.»” (da “Tutti i racconti gialli e tutte le indagini di Padre Brown (eNewton Classici)” di Gilbert Keith Chesterton)
EMONS ha pubblicato nel 2015 l’audiolibro con la lettura integrale di Francesco De Gregori del romanzo “America” di Franz Kafka. “Primo e meno noto romanzo di Kafka, America narra le tragicomiche vicende di un ragazzo praghese che, per una disavventura con una cameriera, viene spedito dalla famiglia oltreoceano. In questa terra sconfinata, il candido e disorientato Karl cercherà la sua strada incappando in sventure e tradimenti, benefattori o presunti tali, e situazioni oltremodo bizzarre. Kafka lasciò incompiuta questa sua opera dagli echi dickensiani.” (dalle note di copertina)
Max Brod ha scritto: «È evidente che il romanzo è strettamente connesso al Processo e al Castello, di cui inaugura cronologicamente la serie. Quella che Kafka ci ha lasciato è una trilogia della solitudine. L’estraneità, l’isolamento in mezzo agli uomini costituiscono il suo tema di fondo.» Gli incubi claustrofobici di Kafka sembrano agli antipodi delle consolatorie ma artificiose certezze razionali di Conan Doyle. Eppure, i suoi romanzi e i suoi racconti risultano di gran lunga più aderenti alla realtà, più veri e attuali rispetto all’infantilismo della fredda logica abduttiva (una combinazione di conoscenza e intuizione) di Sherlock Holmes. Elementare? Proprio per nulla, caro Watson!
Il brano “Lover, You Shoud’ve Come Over” di Jeff Buckley è contenuto nell’album “Grace” (1994) – L’illustrazione che segue è di Zerocalcare (2018)