Giallo

«Può apparire singolare affermarlo, ma il fascino dell’autentico poliziesco va individuato non nel mistero; non nella imprevedibilità della sorpresa finale, ma nella assenza di imprevedibilità, poiché il lettore ha la certezza dell’elemento sostanziale del finale: la scoperta del colpevole. Genere consolatorio e rassicurante per eccellenza, il poliziesco classico sta in un certo modo alla letteratura come la fiaba sta al romanzo; […] In questo va cercato il segreto di Agatha Christie.

Nessuno, più di lei, ha rispettato le regole del poliziesco; nessuno, più di lei, ha dato ai suoi lettori quello, e soltanto quello, che i lettori si attendono, senza temere la convenzionalità (si veda il personaggio di Poirot, tipica caricatura del continentale visto dagli inglesi); nessuno, meno di lei, ha cercato l’originalità, l’imprevedibilità. Al contrario. La sua genialità consiste piuttosto nell’accentuare gli elementi consolatori, rassicuranti, conservatori del genere poliziesco; […] così che il lettore non avverte come un pericolo per sé la presenza del male. (Anna Luisa Zazo – Introduzione a Testimone d’accusa (Witness for the prosecution) Oscar Mondadori, 1992)

Il poliziesco è il genere, non solo letterario, che con il giallo più si è identificato nel corso degli anni. Si usa questa accezione solamente nella lingua italiana e ciò si deve alla collana Il Giallo Mondadori, ideata da Lorenzo Montano e pubblicata in Italia da Arnoldo Mondadori a partire dal 1929: il termine giallo, dal colore della copertina, ha sostituito in Italia quello di poliziesco, rimasto peraltro nei paesi francofoni. (da Wikipedia)

Poi (a nostro parere: per fortuna!) esiste anche l’hard boiled, o noir: «Il genere hard boiled rientra nel genere poliziesco o detective fiction e si distingue dal giallo deduttivo per una rappresentazione realistica del crimine, della violenza e del sesso. L’hard boiled trova le proprie radici nei romanzi di Dashiell Hammett verso la fine degli anni venti, che poi venne perfezionato da Raymond Chandler nei tardi anni trenta. »

Philip Marlowe è il detective privato protagonista dei suoi romanzi. La sua prima apparizione è nel racconto Il testimone del 1934, a cui seguirono un racconto e sette romanzi, anche se uno di essi rimase incompleto.

«Philip Marlowe possiede una precisione ossessionante, un’attenzione quasi metafisica. Tutto è preciso attorno a lui: il tempo, che obbedisce alla volontà inesorabile del cielo, gli oggetti, che ci sembra di toccare e di palpare uno per uno; e il bavero dell’impermeabile e la tesa del cappello abbassato. Lì, in quell’angolo degli Stati Uniti, a Los Angeles, piove: piove, piove, piove incessantemente; le vetrine dei negozi velate dalla pioggia sembrano assorbite dall’asfalto nero, mentre i campanelli dei tram tintinnano nervosamente. Le donne annegano nell’acqua: le strade a tre corsie, perfettamente lavate dalla pioggia, passano accanto a morbide dune di sabbia, su cui cresce un muschio rosa. I gabbiani volteggiano, piombando su qualcosa di nascosto tra le onde, mentre in lontananza uno yacht pare sospeso nel cielo, come accade nel Conte di Montecristo .

Il mondo è una desolazione umida: come se acqua, acqua, sempre acqua si fosse guastata per sempre nel meccanismo del mondo. Tutto si bagna: le persone, le automobili, le pistole, persino gli interni delle case, dove l’acqua si infila dappertutto, scendendo da chissà quale orifizio.» (Pietro Citati – la Repubblica, 27 gennaio 2019)

Qui nessuno si fida di nessun altro, anzi ognuno dà per scontato che l’intento principale ma sottaciuto del prossimo sia quello di ingannare gli altri; l’unico e universale intento è quello di perseguire i propri egoistici interessi.

Quella che segue è la descrizione di un personaggio femminile di Hammett: «I folti capelli castani, con la riga storta, avevano bisogno di una spuntatina. Sul labbro superiore il rossetto era steso in modo diseguale. Indossava un vestito  il cui color vinaccia le stava particolarmente male e che le si apriva su un fianco, là dove lei si era dimenticata di chiudere gli automatici, o là dove si erano staccati da soli. Sulla calza sinistra, davanti, c’era una smagliatura. Dunque era questa la Dinah Brand che poteva permettersi di scegliere gli uomini di Poisonville, secondo quanto avevo sentito dire.» (Dashiel Hammett, Raccolto rosso – Oscar Mondadori, 2012)

Ma non tutti amano la realtà. Ad esempio l’astuta dirigenza RAI: «I creatori di Don Matteo hanno lasciato fuori la realtà e finanche il verosimile: nevica in agosto, il traffico si apre come il Mar Rosso al passaggio della bicicletta del sacerdote e quando viene inquadrata la scacchiera i pezzi hanno disposizioni da partita finita mezz’ora prima.

Dice Nino Frassica che questa fiction rappresenta l’antidoto ai veleni del tg che la precede. Trascura che da anni tra i due c’è un cuscinetto di tregua: uno di quei giochi con gli sconosciuti o con il pacco. Più probabile che Don Matteo rappresenti un’antitesi: a quello che offrono le altre reti, alle voci sguaiate dei politici a duello o dei vip chiusi a chiave. La fantaSpoleto si propone come capitale morale di un’Italia pacificata, un’oasi atemporale, due ore in cui nessuno offende qualcun altro, dal vivo o tramite tastiera. La vera protagonista della serie è questa penisola che non c’è. Don Matteo è solo il deus ex machina pedalante. Interviene non tanto per risolvere i gialli, che si liquefanno da sé sotto il sole perenne, ma per darci la morale della storia che, attenzione, non è quella che appare.» (Gabriele Romagnoli)

Soprattutto quando si tratta del Festival di San Remo, l’astuzia consolatoria e strumentale galoppa: “Scelte come quella di Junior Cally sono eticamente inaccettabili per la stragrande maggioranza degli italiani”. Il presidente della Rai, Marcello Foa, interviene così nel dibattito relativo alla presenza di Junior Cally a Sanremo e esprime “forte irritazione per scelte che vanno nella direzione opposta rispetto a quella auspicata”.

“Il Festival – dichiara il presidente della RAI -, tanto più in occasione del suo 70esimo anniversario, deve rappresentare un momento di condivisione di valori, di sano svago e di unione nazionale, nel rispetto del mandato di servizio pubblico. Scelte come quella di Junior Cally sono eticamente inaccettabili per la stragrande maggioranza degli italiani”.

Scusi sig. presidente, quali sarebbero questi valori da condividere, per caso quelli che decide lei? «Abbiamo vissuto anni — in politica, e ovunque — sotto la dittatura della popolarità: ci hanno detto che era l’adesione alla domanda. Devi essere come ti vogliono. Come “funziona”, come “conviene”. Poi, però, ecco che c’è chi se ne frega. Chi è quel che è, e non insegue il consenso con la promozione parassita degli staff che lo tengono in ostaggio: lo suscita, non lo insegue, il consenso.» (Concita De Gregorio)

«La paura di affrontare la realtà interiore è presente in ogni essere umano. Ragionare sulle proprie sofferenze, paure, debolezze, porta inevitabilmente ad una presa di coscienza che aiuta a dipanare le zone più nebbiose ed incerte del comportamento umano. Riusciamo così a scoprire noi stessi, le dinamiche, i meccanismi della persona e dell’essere sociale, e vediamo quanto accade attorno a noi con occhi diversi. In quest’ottica l’evolversi dei fatti e degli accadimenti vengono perciò vissuti diversamente, ponendo l’accento sulle complessità, sulle sfumature e sui paradossi.

Va preso in esame che riflettere su quanto accade alla persona, con modalità critica e disponibilità a mettersi in gioco è utile, (anche se non può essere esaustivo) ma allo stesso tempo provoca il venire meno di molti ideali, concezioni di vita e sicurezze personali. In un primo momento questa apertura ad uno spazio di scoperta nuovo, orientato a nuovi paradigmi del vivere, può portare all’interno dell’individuo e della società il decadere di quelli che nelle epoche storiche precedenti erano chiamati valori immutabili, tanto utili per poter dare stabilità e guida nei vari momenti storici, quanto dannosi se protratti nel tempo come paratie e muri di contenimento. Il contenimento, che dà accoglienza all’individuo, ma allo stesso tempo può minare la crescita personale e la derivante maturazione.»

Siamo a questo punto posti di fronte ad una scelta, ad una sfida che possiamo accogliere o meno. Aprire gli occhi e guardare verso orizzonti lontani da raggiungere, ai quali vale la pena di ambire; il desiderio verso i quali è senza dubbio creativo e sviluppatore di nuove istanze, oppure la relativa sicurezza nei confronti di modelli di vita ormai consueti che, se non nell’immediato, non ci permettono di progettarci e di rendere dinamica ed interessante l’esperienza del nostro vivere. Affrontando la vita in questo modo, con uno sguardo aperto su noi stessi e consapevoli che, per quanto possa sembrare difficile, tale impresa è comunque degna d’essere, possiamo intraprendere un cambiamento individuale utile a tutta la società». (Filippo Depedri – dalla rubrica di Concita De Gregorio Invece Concita – la Repubblica, 7 dicembre 2019)

Per concludere, una domanda: è più autentico – e quindi meno utile agli ipocriti portatori di semplificazioni che sempre inseguono il consenso – l’hard boiled o il Festival di San Remo? Non occorre Poirot per risolvere l’enigma.

In testata: Mark Rothko: Yellow and Gold (1956) – Il brano Dear Mama di Tupac è contenuto nell’album Me Against The World (1995, QUI la traduzione del testo)

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