Il dubbio e la spocchia

Un giorno chiesero a Talleyrand perché credeva nella Bibbia: «Ci credo, rispose, in primo luogo perché sono vescovo di Autun, e in secondo luogo perché non ci capisco assolutamente nulla.» Per contro, il giovane Vincenzo Cardarelli, quando tra i ventidue e i ventiquattro anni era  redattore di un giornale quotidiano, ricevette un memorabile complimento del suo direttore per un articolo su Ibsen scritto negli ultimi tempi del suo noviziato giornalistico : «Bellissimo quel tuo articolo. Non ci ho capito niente, ma è bellissimo.»

Questi aneddotti ricordano il dibattito quotidiano che si è avviato, subito dopo le elezioni politiche del 25 settembre, sulle pagine di Repubblica; il suo oggetto è: “la crisi del Partito Democratico” (!) Ci si potrebbe domandare per quale motivo, attualmente, il PD sia il principale “riferimento politico” di GEDI, il gruppo editoriale controllato delle famiglie Agnelli-Elkann. Ma soprassedendo su questo tutt’altro che trascurabile “dettaglio”, constatiamo che tale dibattito ha oggettivamente ospitato ad oggi un’ottantantina di interventi di politici e intellettuali – come si dice – “d’area”. Ognuno portatore di una ricetta diversa – ammesso si capisca quale essa sia.

Laura Pennacchi (economista, deputata dem, ex sottosegretario di Stato al Tesoro), per esempio vi scrive:

«La radicalità immaginativa e creativa del “progetto” è ciò che più manca oggi nella sinistra. Il riformismo autentico si gioca fuori della sterile dicotomia riformismo/massimalismo e non può non essere radicale, come fu quello del New Deal di Roosevelt. Per tale radicalità progetti e programmi contano molto di più di quanto non si creda. Ce lo ricordano l’attenzione e il dibattito che suscitarono le famose 88 tesi (la cui intensa e partecipata gestazione durò più di un anno) con cui l’Ulivo vinse le elezioni nel 1996. Ce lo chiede l’urgenza di disegnare un modello alternativo di sviluppo ecologicamente rifondato e di rilanciare grandi ideali come la “piena e buona occupazione”, fino alla formulazione di programmi di “lavoro garantito” e di ricorso al keynesiano Stato come employer of last resort.

Per riconquistare una dimensione altamente progettuale, il Pd deve sciogliere nodi lasciati a lungo irrisolti, risalenti addirittura alle sue origini, che hanno dato luogo ad alcuni equivoci di fondo, mai adeguatamente chiariti. Si tratta di: a) la presupposizione tacita che il partito democratico dovesse essere sostanzialmente un partito “moderato”, nella convinzione che riformismo sia equivalente a moderatismo e che le elezioni si vincano solo al centro e per questo si debba rassegnarsi al moderatismo, “disintermediando” e abbandonando i riferimenti sociali tradizionali; c) l’idea che il partito democratico, in quanto “postideologico”, dovesse anche essere “postidentitario” (per questo più attento alla buona amministrazione che non alla costruzione di “visioni” e di “progetti”). Non possiamo stupirci se su una problematica cruciale come quella del lavoro da decenni grava un “oscuramento teorico” che è causa ed effetto della sua crescente “invisibilità politica”.» […]

Non si è mai saputo nulla del disperso punto b).

D’altra parte, se il rapporto Censis 2022 afferma che attualmente “la malinconia definisce il carattere degli italiani”, allora che ne sarà mai di quella porzione minoritaria di italiani che nonostante tutto si ostina ancora a dichiararsi di sinistra, pur in presenza di una simile, indifendibile classe dirigente sia nazionale che locale? Le conseguenze di questa masochistica inclinazione vengono chiarite da fior di ricercatori e dalle relative ricerche:

«L’infelicità dell’elettore di sinistra è talmente un argomento trito e ritrito che esistono migliaia di dati, statistiche, ricerche, tutte a confermare la stessa cosa che peraltro si è sempre sperimentata tra di noi empiricamente. Adesso è uscito l’ennesimo sondaggio americano, l’american Family Survey 2022 realizzato su 3.000 cittadini, che mostra come gli elettori di sinistra vivono più depressi di quelli di destra. Nello specifico gli elettori di sinistra sono significativamente meno felici (meno quindici per cento) dei loro omologhi di destra. Il sondaggio va avanti stabilendo che i liberal hanno il 18 per cento in meno delle possibilità di essere “completamente soddisfatti” della loro vita, in particolare le donne (solo il 15 per cento rispetto alle donne di destra che lo sono al 36 per cento) […].» (Michele Masneri)

Il 7 dicembre scorso la scrittrice francese Annie Ernaux ha accettato a Stoccolma il premio Nobel per la letteratura con un discorso schierato apertamente dalla parte delle donne, della provincia e degli emarginati. Il discorso inizia così:

«Da dove cominciare? Questa domanda me la sono posta decine di volte davanti alla pagina bianca. Come se dovessi trovare la frase, la sola, che mi permetterà di entrare nella scrittura del libro e toglierà in un colpo solo tutti i dubbi. Una sorta di chiave. Oggi, per affrontare una situazione che, passato lo stupore dell’evento (“Sta davvero succedendo a me?”), la mia immaginazione mi presenta con uno sgomento crescente, mi sento invadere dalla stessa necessità. Trovare la frase che mi darà la libertà e la fermezza di parlare senza tremare. […]»

Che occorra scomodare ancora una volta Antonio Gramsci e i suoi Quaderni del carcere? Sì, occorre: «Non si fa politica-storia senza questa passione, cioè senza questa connessione sentimentale tra intellettuali e popolo-nazione». Ecco; se in questo avvelenato «ambiente di felpati gattopardi e saettanti camaleonti all’eterna ricerca di un’auto-assoluzione collettiva» (Miguel Gotor) ci si fermasse ogni tanto per mettersi in dubbio, per riflettere davanti alla pagina bianca prima di scrivere (magari dopo aver studiato per davvero e senza spocchia la realtà quotidiana dei cittadini), anziché riversarvi fiumi di inchiostro e di parole spesso incomprensibili; se questo succedesse, forse – sottolineo forse – una parte di quella malinconia che fa pur parte della nostra connaturata condizione umana (la tendenza alla depressione) potrebbe a volte attenuarsi; almeno per quel minimo sufficiente a manternere in vita una qualche residua, forse ingenua, ma pur sempre necessaria illusione.

Melancholia è un film del 2011 scritto e diretto da Lars von Trier – Il video di Nanni Moretti è tratto dal suo film Aprile (1998)

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

%d