Nel 1954 Edward C. Banfield e sua moglie, Laura Fusano, arrivano a Chiaromonte, in Lucania provincia di Potenza, e vi si intratterranno per circa nove mesi. Con lo pseudonimo di Montegrano, il paese di Chiaromonte – che allora contava 3.400 abitanti, poco più dei 3.240 del 1862 – sarà quindi ambiente e oggetto del loro studio. «Lo studio concerne un solo paese dell’Italia meridionale, la cui estrema povertà e arretratezza si possono spiegare in parte – ma non interamente – con l’incapacità degli abitanti di agire insieme per il bene comune o, addirittura, per qualsivoglia fine che trascenda l’interesse materiale immediato della famiglia nucleare.» La domanda che si pone Banfield è “perché non si fa nulla?”, ovvero perché gli abitanti di Chiaromonte/Montegrano sono incapaci di reagire alle durissime condizioni economiche? Perché non nascono forme di cooperazione tra i chiaromontesi? Perché l’atteggiamento dominante è la passività?
Con l’aiuto dell’allora studente Manlio Rossi Doria, e grazie a strumenti metodologici diversi (osservazione diretta, interviste e test psicologici a campioni rappresentativi della popolazione, dati provenienti da archivi pubblici e privati) tale studio porterà nel 1958 alla pubblicazione di The Moral Basis of a Backward Society (trad. it.: Le basi morali di una società arretrata, 1976) in cui l’autore indaga le ragioni per cui gli abitanti si dimostravano incapaci di raggiungere un’efficace organizzazione politica. Banfield passa in rassegna alcune risposte più tradizionali che ritiene insufficienti e infine propone che la ragione più importante sia il “familismo amorale”:
«Noi riteniamo che un’ipotesi molto semplice possa rendere comprensibile il comportamento in questione e permettere a un osservatore di formulare delle previsioni sul comportamento dei montegranesi in determinate situazioni concrete. L’ipotesi è che i montegranesi agiscono come se seguissero questa regola generale: «massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare; supporre che tutti gli altri si comportino allo stesso modo».
Chiameremo «familista amorale» colui che agisce in base a questa regola. Il termine è sgradevole e in un certo senso impreciso (chi segue questa regola è senza moralità solo in relazione a persone estranee alla cerchia familiare — mentre i princìpi del bene e del male vengono applicati nei rapporti familiari; uno che non abbia famiglia è naturalmente «un individualista amorale»), ma tuttavia ci sembra il più appropriato. […] metteremo in luce alcune implicazioni di questa regola di vita: […]
1. In una società di familisti amorali, nessuno perseguirà l’interesse del gruppo o della comunità, a meno che ciò non torni a suo vantaggio personale. In altre parole, la speranza di vantaggi materiali a breve scadenza è il solo motivo d’interesse per le cose pubbliche.
Questo principio concorda con la completa inesistenza di associazioni caritative, di organizzazioni miranti al bene comune, di iniziative di carattere pubblico da parte di cittadini preminenti. […]
2. In una società di familisti amorali soltanto i funzionari si occupano della cosa pubblica, perché essi soltanto vengono pagati per questo. Che un privato cittadino si interessi seriamente a un problema pubblico, è considerato anormale e perfino sconveniente. […]
3. In una società di familisti amorali mancherà qualsiasi forma di controllo sull’attività dei pubblici ufficiali, poiché questo compito spetta solo ai superiori gerarchici dei funzionari in questione. […]
4. In una società di familisti amorali, sarà molto difficile dare vita, e mantenere in vita, forme di organizzazione (cioè, attività organizzate in base a esplicito accordo). I fattori che inducono la gente a prestare le loro energie in organizzazioni sono in larga misura atteggiamenti di altruismo (come per esempio, l’identificazione dell’individuo con gli scopi dell’organizzazione), e spesso non di ordine materiale (per es., un interesse intrinseco nell’attività per dar prova delle proprie capacità). È inoltre essenziale per la riuscita di una organizzazione che i membri abbiano fiducia reciproca e spirito di lealtà verso l’organizzazione stessa: e inoltre, che vengano fatti piccoli e talvolta grandi sacrifici, per il bene dell’organizzazione. […]
5. In una società di familisti amorali, coloro che ricoprono cariche pubbliche, non identificandosi in alcun modo con gli scopi dell’organizzazione a cui appartengono, si daranno da fare quel tanto che basti per conservare il posto che occupano o (se pensano che ciò sia possibile) per ottenere promozioni. E d’altra parte, le persone istruite e i professionisti, di solito non saranno mossi da uno spirito di vocazione o di missione. In realtà le cariche pubbliche, o le conoscenze specializzate, saranno considerate da coloro che ne dispongono come armi da usare a proprio vantaggio contro gli altri. […]
6. In una società di familisti amorali, si agirà in violazione della legge ogni qual volta non vi sia ragione di temere una punizione. Per questo motivo i cittadini non stipuleranno accordi la cui realizzazione dipenda da procedimenti legali, a meno che non vi siano forti possibilità che la legge venga fatta rispettare, e il costo non ne sia tanto alto da rendere non conveniente l’impresa. Anche questo fatto, naturalmente, costituisce un ostacolo alla creazione di forme organizzative, e allo sviluppo economico e sociale. […]
- Il familista amorale, quando riveste una carica pubblica, accetterà buste e favori, se riesce a farlo senza avere noie, ma in ogni caso, che egli lo faccia o no, la società di familisti amorali non ha dubbi sulla sua disonestà. […]
8. In una società di familisti amorali, i deboli sono favorevoli a un sistema in cui l’ordine sia mantenuto con la maniera forte. Il fascismo non dispiaceva a molti contadini – fino a che non portò alla guerra – perché le leggi venivano fatte rispettare ed essi si sentivano protetti. […]
9. In una società di familisti amorali, il fatto che un individuo o un ‘istituzione dichiari di agire in nome del pubblico interesse piuttosto che per fini personali, verrà considerato una frode. […]
10. In una società di familisti amorali, manca qualsiasi connessione tra astratti principi politici (cioè l’ideologia) e il comportamento concreto nei rapporti di vita quotidiani. […]
11. In una società di familisti amorali non ci sono né leader, né buoni gregari. Nessuno prende l’iniziativa di proporre una linea di azione e persuadere gli altri a seguirla (a meno che questo non torni a suo vantaggio personale), e d’altronde se qualcuno assumesse una posizione di leader, il gruppo non lo accetterebbe come tale, per mancanza di fiducia. […]
12. Il familista amorale si serve del voto per ottenere il maggior vantaggio a breve scadenza. Per quanto egli possa avere idee ben chiare su quelli che sono i suoi interessi a lunga scadenza, i suoi interessi di classe, o anche l’interesse pubblico, questi fattori non influiscono sul voto, se gli interessi materiali e immediati della famiglia sono in qualche modo coinvolti. […]
13. Il familista amorale apprezza i vantaggi che possano derivare alla comunità, solo se egli stesso e i suoi ne abbiano parte diretta. Anzi egli si opporrà a misure che possono aiutare la comunità ma non lui, perché, anche se la sua posizione, in senso assoluto, resta immutata, egli ritiene di venirsi a trovare in una situazione peggiore se i suoi vicini migliorano la propria posizione. Così può accadere che misure di riconosciuto vantaggio generale suscitino le proteste di coloro che ritengono di non riceverne alcun beneficio, o perlomeno di non riceverne in quantità sufficiente. […]
14. In una società di familisti amorali l’elettore ha poca fiducia nelle promesse che gli vengono fatte dai partiti. Egli dà il voto in cambio di benefici già ricevuti (nell’ipotesi, naturalmente, che esista la prospettiva di riceverne altri per il futuro) piuttosto che per vantaggi promessi. […]
15. In una società di familisti amorali esiste la diffusa convinzione che qualunque sia il gruppo al potere, esso è corrotto e agisce nel proprio interesse. Già subito dopo le elezioni, la gente è certa che i neo-eletti sono occupati ad arricchirsi a loro spese, e non hanno alcuna intenzione di mantenere le promesse che hanno fatto. Di conseguenza, l’atteggiamento dell’elettorato è quello di chi ripaga, per mezzo del voto, non favori ma ingiustizie ricevute, e si serve del voto come strumento di punizione. […]
16. Sebbene gli elettori siano disposti a vendere i loro voti, in una società di familisti amorali non esisterà una stabile e solida macchina politica. Questo è vero almeno per tre motivi: a) essendo la votazione segreta, non c’è modo di controllare se chi è stato pagato per votare in un certo modo lo faccia poi effettivamente; b) un’organizzazione di questo tipo non offre sufficienti vantaggi immediati perché qualcuno impegni in essa energie e capitali; c) come abbiamo spiegato più sopra, in ogni caso è difficile dar vita e mantenere organizzazioni formali di qualsiasi tipo. […]
17. In una società di familisti amorali, i funzionari di partito vendono i loro servizi al miglior offerente. La loro facilità a passare da una parte all’altra può spiegare gli imprevedibili sbalzi nei risultati elettorali.[…] (Edward C. Banfield: Le basi morali di una società arretrata – Il Mulino, 2010 – dal cap. quinto: “Un’ipotesi predittiva” pagg. 101-118)
Chiaromonte a fine 2004 contava 2.108 residenti (contro i 3.400 del 1954), facenti parte di 847 famiglie e con una dimensione media della famiglia di 2,5 persone. L’Italia ha una popolazione stimata al primo gennaio 2020 di 60.244.639 abitanti; una dimensione media per famiglia di 2,4, è il terzo paese dell’Unione europea per popolazione (dopo Germania e Francia) e il 23º al mondo. La domanda che ci poniamo quindi ora (per concludere) è la seguente: «La popolazione di Chiaromonte è davvero calata fino a poco più di 2.000 abitanti, oppure – al contrario e metaforicamente – tende ad aumentare fino agli attuali sessanta milioni e oltre?» Un’idea ce la siamo fatta. Dice il saggio: «Ai posteri l’ardua sentenza.»