La Borsa di New York (New York Stock Exchange, meglio nota come Wall Street) è la borsa valori più grande al mondo per capitalizzazione di mercato; equivaleva a 23.120 miliardi di dollari nel marzo 2018, vale a dire a circa 40% del valore totale del mercato azionario mondiale, con oltre 2400 società quotate, che spaziano tra diversi settori, dalla finanza alla sanità, dai beni di consumo all’energia. (da ig.com) Su questa colossale “piazza di affari” vigila (o meglio tenta di vigilare) la Securities and Exchange Commission (SEC – Commissione per i Titoli e gli Scambi), l’ente federale statunitense preposto alla vigilanza della borsa valori.
Madoff. Il mostro di Wall Street, è una docuserie realizzata dal regista Joe Berlinger in onda su Netflix. Berlinger dimostra che la più grande truffa finanziaria del secolo – quella di Madoff, appunto – non solo fu realizzata nonostante i controlli eseguiti dalla SEC, ma che paradossalmente ne fu addirittura favorita. La Commissione, infatti, fu più volte tratta in inganno dalla falsa documentazione di Madoff, della cui inautenticità – per leggerezza e/o superficialità – l’ente non si è mai accorta. Ai giovani controllori della SEC disse di essere candidato a diventare direttore della SEC stessa. Una seconda indagine finì nel nulla grazie alle rassicurazioni di Madoff stesso e dell’ambiente finanziario. Una terza audizione SEC fu richiesta da Madoff per fornire numeri di conto e di telefono di banche a cui nessuno telefonò per controllare.
Di fatto, la SEC diffuse notizie a favore dell’affidabilità del soggetto, rafforzandone quindi il prestigio di presunto “mago della finanza” (un vero “artista” nel suo campo) all’interno di un ambiente altamente esclusivo; contribuendo così non solo a determinare un clima di euforia che alla fine provocò danni enormi a migliaia di persone oneste, ma anche a screditare le indagini degli scettici. Già nel 2000 un matematico finanziario scrisse alla SEC che Madoff non poteva essere altro che un truffatore che utilizzava lo schema Ponzi. Nessuno gli diede ascolto. Nel dicembre 2007, la percezione di affidabilità e legalità del truffatore era altissima: il suo castello di carte contava infatti un totale di 69 miliardi di dollari. Esso crollò drammaticamente solo a causa della crisi globale del 2008, provocando a quel punto colossali danni economici, numerosi fallimenti e perfino suicidi a causa delle montagne di denaro che aveva ricevuto e che non si era mai sognato di investire.
Ha poi commentato Joe Berlinger: «Da regista mi sono occupato di molte storie di cronaca nera e ho imparato che vogliamo sempre pensare che le persone che fanno del male siano mostri: se il serial killer emerge dall’ombra con le zanne insanguinate, puoi sentirti al sicuro perché sai di poterlo identificare ed evitare di esserne vittima. Ma la verità è che a farti del male sono le persone da cui meno te lo aspetti e di cui ti fidi, che si tratti del prete pedofilo o di un serial killer come Ted Bundy, che viveva con la fidanzata e un mucchio di gente lo credeva perbene, o di Bernie Madoff che si presentava come un riverito guru di Wall Street.»
Il vero problema è quello di sviluppare una cultura, un reale senso critico che renda possibile individuare eventuali “mostri” seppur precedentemente sdoganati dall’esclusivo ambiente di appartenenza, artistico, finanziario, sociale o politico che sia.
«In Italia, il critico Ugo Ojetti, che sapeva anche essere acuto, ma s’era assunto la funzione di esprimere con arguzia ed eleganza l’opinione media della borghesia, di guidare quest’opinione assimilando il mediocre livello mentale, la pigrizia del gusto, il conservatorismo di chi doveva poi farla sua e professarla, pubblicò sul giornale, appunto, della borghesia, il Corriere della Sera, un articolo che fece gongolare i lettori, perché esprimeva quanto essi sentivano, dava ragione alla loro rivolta contro l’arte del tempo (il primo dopoguerra), e insomma si faceva portavoce del famoso senso comune che, come è stato giustamente notato, non ha nulla di comune col buon senso. E in particolare, soprattutto in questioni d’arte, ha quasi sempre torto, ma agli occhi dei conformisti, delle maggioranze e dei benpensanti ha sempre l’aria di avere ragione. L’articolo era intitolato Il brutto è bello e il titolo divenne quasi proverbiale perché dava forma epigrammatica e svelta a quello che tutti avrebbero voluto dire, ma non avevano il coraggio di pronunciare così apertamente.» (Giacomo Debenedetti, Il romanzo del novecento – La nave di Teseo, 2019)
Più vicino a noi, Silvio Berlusconi ha spiegato ai suoi venditori che “il pubblico ragiona come un bambino di otto anni”: da troppo tempo i nostri media assecondano molto volentieri la loro “clientela”.
Però San Paolo nella più antica delle sue lettere, scrive: “Esaminate ogni cosa, trattenete ciò che è buono” (1Ts 5,21). Questa è la regola: preferire il diamante nel fango alla paccottiglia nell’ovatta. Fango e paccottiglia non mancano di certo. Ma il principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij afferma:”La bellezza salverà il mondo”. Quella frase, ancor oggi citata infinite volte e ripetuta nei più diversi contesti, anche a sproposito, nel testo originale ha una rilevanza ambigua. Ambigua come i mostri. Giudicare è difficile, forse impossibile. Tuttavia coraggio: nonostante tutto la bellezza esiste, e continuerà ad esistere per sempre.