Il rifiuto

UNO. Carlo Michelstaedter riteneva che la normale vita umana si appoggi su illusioni che tendono in primo luogo ad allontanare il dolore e l’ossessione della morte nonché a creare apparenti sicurezze. Pensava che a queste forme di persuasione illusoria si debba opporre la persuasione autentica: cioè l’accettazione della radicale finitudine umana, della inevitabile esposizione dell’esistente al dolore.

Nel suo pensiero, il persuaso è colui che sa «impossessarsi del presente», che sa «prendere su di sé la responsabilità della propria vita». Ma la difficoltà di reggere sul terreno della persuasione, sapendo «venire a ferri corti con la vita» dà origine alla rettorica, che è organizzazione dei valori apparenti e artificiali: è il sistema con cui gli uomini creano correlazioni regolari tra le cose, inventano meccanismi sociali e arrivano a «violentare la natura a maggior comodità dell’uomo che vuol pure continuare».

La lotta contro la «rettorica» assumeva quindi per lui il valore di una battaglia contro i fondamenti della stessa organizzazione sociale, contro l’artificio e l’ipocrisia che dominano costantemente la comunicazione, contro la funzione di dominio che assumono le ideologie e le istituzioni del sapere. (da Storia e testi della letteratura italiana di Giulio Ferroni e altri, vol. X – Mondadori Università, 2004)

DUE. «Un secolo di distruzioni diverso nei suoi eccessi da ogni altro viene a intristire la razza umana: decine di milioni di persone comuni condannate a patire una privazione dopo l’altra, un male dopo l’altro, mezzo mondo, o più di mezzo, sottoposto a patologico sadismo come politica sociale, intere società organizzate e ostacolate dalla paura di violente persecuzioni, la degradazione della vita individuale raggiunta in una misura ignota nella storia, nazioni vinte e ridotte in schiavitù da criminali ideologici che le privano di tutto, intere popolazioni così demoralizzate da essere incapaci di alzarsi dal letto la mattina col minimo desiderio di affrontare la giornata… Tutte le terribili pietre di paragone offerte da questo secolo, ed eccoli levarsi e prendere le armi per una Faunia Farley. (…)

[Coleman] Non era affatto un sovversivo un agitatore. Non era matto. E non era un radicale o un rivoluzionario, nemmeno sul piano intellettuale o filosofico, a meno che non sia rivoluzionario credere che non tenere in nessun conto le più restrittive demarcazioni di una società prescrittiva e rivendicare indipendentemente una libera scelta personale che resti entro i limiti del codice fosse qualcosa di diverso da un fondamentale diritto umano; a meno che non sia rivoluzionario, quando sei diventato maggiorenne, rifiutarsi di accettare automaticamente il contratto che ti viene presentato da firmare quando vieni al mondo.» (Philip Roth – da La macchia umana, Einaudi 2014)

TRE. «Fin dai primi doveri che gli si impongono, tutto lo sforzo tende a renderlo indifferente a quello che fa, perché pur lo faccia secondo le regole con tutta oggettività. “Da una parte il dovere dall’altra il piacere”. “Se studierai bene, poi ti darò un dolce – altrimenti non ti permetterò di giocare”. E il bambino è costretto a mettersi in capo quei dati segni della scrittura, quelle date notizie sulla storia, per poi avere il premio dolce al suo corpo. “Hai studiato – adesso puoi giocare!” E il bambino s’abitua a considerar lo studio come un lavoro necessario per viver contenti, se anche in sé sia del tutto indifferente alla sua vita: ai dolci, al giuoco ecc. (…)

Come al bambino si diceva: “fai come dice il babbo che ne sa più di te, e non occorre che tu domandi ‘perché’, obbedisci e non ragionare, quando sarai grande capirai”. Così si conforta il giovane a perseguire nel suo studio scientifico senza che si chieda che senso abbia, dicendogli: “tu cooperi all’immortale edificio della futura armonia delle scienze e sarà anche un po’ merito tuo se gli uomini quando saranno grandi, un giorno sapranno“. Ma gli uomini temo che siano sì bene incamminati, che non verrà loro mai il capriccio di uscir della tranquilla e serena minore età.»

Così termina “La persuasione e la rettorica” di Carlo Michelstaedter (Piccola Biblioteca Adelphi, 1982), la sua tesi di laurea (mai discussa) e sua sola opera compiuta. Fu pubblicata postuma nel 1913. Appena l’ebbe terminata e spedita all’Università di Firenze, il 17 ottobre 1910 si suicidò a Gorizia con un colpo di pistola. Aveva ventitré anni.

In testata: Carlo Michelstaedter in un suo autoritratto (particolare) – L’Adagio (Quello che l’amore mi narra) è l’ultimo movimento della Sinfonia n. 3 di Gustav Mahler.

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