Il viaggiatore sedentario

Vardo ‘na strada de la mia zità / che ghe sarò passado mile volte / e no’ me par de averla vista mai. / Le fazzade zalete, le boteghe, / un bar, dei àuti, e el fiatin de viavai. / Come la nostra vita, sì: vissuda, / finida ormai, e mai ben conossuda. (Virgilio Giotti – La strada)

 

UNO. Quando Guido Piovene nel 1953 sale in macchina per iniziare il suo reportage di tre anni nell’Italia del secondo dopoguerra (la prima edizione di Viaggio in Italia uscì nel 1957), «raccomanda alla moglie Mimy, che si mette alla guida, di “usare le marce basse”. Cioè andare piano e fermarsi spesso, perché gli interessa conoscere bene i borghi e le città che attraverseranno, respirarne l’aria, parlare con chi ci vive. Insomma, pensa quasi a un pedestrian tour, come quelli che facevano i grandi viaggiatori dell’Ottocento. […]

Ha in mente un racconto ancorato alla realtà e ideologicamente non contaminato, né ottimista né pessimista a priori: veridico. Ispirato solo dalle spiazzanti curiosità che gli detta il suo sesto senso. Un diario costruito sulle ibridazioni culturali che scoprirà e sorretto da una scrittura sottile, disincantata e, insieme, partecipe. Tale da offrire riflessioni nuove sull’identità di un Paese appena uscito dalla guerra e che vede l’alba del miracolo economico. La sfida si trascina dal 1953 al 1956. […]

Solo a chiusura dell’impresa si concede una mezza sentenza. A futura memoria. “Tra le virtù maggiori, il nostro popolo ha mostrato di possederne almeno una: la chiarezza, la forza di accettare la verità e chiamare la sconfitta col suo nome… Nella comunità europea la comunità italiana può conquistare un posto come forse non ebbe mai dopo l’unità, sempre che non decada nel vitalismo grossolano, nel politicismo affannoso, nella sfiducia intellettiva.” Guardiamoci intorno: non era una profezia precisa?» (Marzio Breda, Corriere della Sera, 5 agosto 2017)

Molto precisa, purtroppo: vitalismo grossolano, politicismo affannoso e sfiducia intellettiva – uniti al collezionismo frettoloso – fanno la differenza tra il turista e il viaggiatore. In tutti i campi.

DUE. Facciamo un passo indietro: «Nelle società preindustriali viaggiare era un’esperienza eccezionale, una delle principali occasioni di conoscenza: un lungo viaggio comportava sempre pericoli e imprevisti di ogni genere, costituiva comunque un’avventura memorabile, lasciava un segno indelebile nella vita del viaggiatore. Nella sensibilità collettiva e nella letteratura del Settecento e dell’Ottocento si diffonde una nuova nozione del viaggio come evasione, come ricerca di luoghi lontani dalla vita ufficiale e fittizia delle città, di ambienti perfetti, incontaminati, misteriosi, fascinosi.

Ma intanto, mentre il viaggio diventa protagonista delle più varie opere poetiche  e narrative, nella vita di tutti i giorni raggiungere luoghi diversi è sempre più facile, più rapido meno pericoloso: specialmente con l’espansione della ferrovia il viaggio non è più un evento straordinario, ma entra ormai nell’esperienza quotidiana di tutti. I nuovi mezzi di trasporto consentono di raggiungere paesi lontani un tempo inaccessibili, di fuggire da un mondo quotidiano che non soddisfa o che fa orrore: e, per arrivare ai nostri giorni, il loro perfezionamento continuo, accompagnato dallo sviluppo di media che rendono possibile una comunicazione simultanea in tutto il pianeta, fanno del viaggio e della conoscenza di realtà da noi molto distanti un’esperienza abituale. Ma, quanto più il viaggio diventa facile, normale, quotidiano, tanto più esso perde il valore di esperienza essenziale che aveva nelle società tradizionali […]

La grande letteratura comincia ad avvertire sempre più di frequente che l’esperienza del viaggio è delusiva, che chi parte per cercare qualcosa di assoluto finisce per trovare soltanto se stesso o per ritrovare dappertutto, in ogni luogo della terra, i segni della civiltà da cui vuole fuggire. […] Un certo tipo di turismo è solo un modo per trasportare ovunque il proprio mondo, le proprie abitudini di consumatori, per andare a vedere luoghi fittizi, espressamente modificati dall’industria turistica.

TRE. D’altra pare la comunicazione planetaria si svolge anche attraverso una moltiplicazione continua dei viaggi internazionali, il cui volume rispetto agli anni Cinquanta e Sessanta, si è moltiplicato in modo sorprendente, con uno sviluppo particolarmente marcato del trasporto aereo (e gli aeroporti sono ormai luoghi entrati a far parte  dell’esperienza quotidiana, luoghi significativi della vita sociale contemporanea); e fitti sono gli spostamenti anche all’interno dei singoli paesi, la circolazione di uomini, mezzi, merci da un centro all’altro, in un vortice confuso e inarrestabile. È difficile sottrarsi all’impressione che in questo viaggiare ci sia qualcosa di insensato e di “vuoto”, un dispendio inutile di energie e di esperienze: questo andare e venire senza fine esclude spesso autentiche possibilità di esperienza e di conoscenza, è solo un riavvolgersi nella vita di sempre, in un orizzonte di scambi gratuiti e indifferenti.» (Giulio Ferroni)

Blaise Pascal, nei sui Pensieri (il n. 139, dal titolo Divertimento) ha scritto: «Quando talvolta mi sono accinto a considerare le diverse agitazioni degli uomini e i pericoli e le pene cui si espongono a corte, in guerra, e che sono causa di tante liti, di tante passioni, di tante ardite imprese e di tante azioni spesso cattive ecc., ho scoperto che tutta l’infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non saper restare tranquilli in una camera.»

QUATTRO. E allora diciamola tutta: oltre al cosiddetto overtourism (sovraffollamento turistico) abbiamo anche information overload (sovraccarico informativo e comunicativo); dal quale risulta – rafforzata – la stessa sensazione di vuoto insensato diretta conseguenza del turismo ossessivo:  «Ebbene su Whatsapp arriva di tutto in fatto di egomaniacalità, un virus la cui diffusione non è totalmente meno grave di quella del Covid. Gente che non conosco o che mai e poi mai mi ha mandato un “in bocca al lupo” per un mio libro appena uscito, manda a raffica immagini di un piatto fumante di ravioli o di un crepuscolo da qualche parte in Italia oppure ancora l’elenco sterminato delle loro imprese editoriali eccetera degli ultimi quindici giorni. O magari le foto della loro famiglia sorridente e riunita. Molto sorridente, molto riunita. O, peggio ancora, manda una qualche sentenza sull’uno o l’altro problema mondiale e apparentemente senza scampo. Tutti tutti tutti parlano di sé, si autopromuovono, si amano alla follia, si fanno dei selfie, vogliono che l’universo ne tenga conto di tutto questo, che non li trascuri neppure un istante. Sarà che io invece ogni giorno che passa sono sempre più dominato dal culto del silenzio, dalla consapevolezza di non avere nulla da dire né da raccontare.» (Giampiero Mughini – il Foglio Quotidiano, 31 maggio 2022)

CONCLUDENDO, ce ne sarebbe abbastanza per chiederci sul serio se non sia il caso di interrompere o almeno rallentare la corsa del criceto da cui ci siamo fatti travolgere negli ultimi decenni. Non sorge forse il dubbio che per arricchirsi spiritualmente non sia necessario né isolarsi nel deserto della Tebaide, né reincarnarsi in novelli Marco Polo e/o Bruce Chatwin? Secondo lo psicoanalista Christopher Bollas, la caratteristica più significativa del narcisista è la richiesta d’attenzione: l’opposto del carisma, che invece promana da chi lo possiede. E il contrario del narcisismo è la solitudine.

Nunzio Zago, direttore scientifico della fondazione Gesualdo Bufalino, diceva dello scrittore: «La biblioteca è stata la sua vera patria, lo strumento attraverso cui ha potuto stabilire un collegamento continuo con il mondo, pur vivendo in un paese dell’estrema provincia siciliana come Comiso. Attraverso il libro, Bufalino si è sentito un cittadino del mondo.» Egli diceva, per esempio, che «Le sole due trincee da cui si possa combattere la degradazione del costume in Sicilia siano le aule scolastiche e le sale di una biblioteca.»

Il viaggio inteso come evasione e divertimento non è altro che insensato spostamento fisico, vuota distrazione. Pensiamoci davvero, a quanti viaggi si possono fare, perfino disconnessi, dall’interno della propria stanza, o nella strada dove siamo passati mille volte senza averla mai ben conosciuta…

Nell’immagine in testata: Caspar David Friedrich: Viandante sul mare di nebbia, 1818.

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