«Quando vedo la crisi della nostra Repubblica, devo constatare che non piccola è la parte di rovina provocata dagli uomini più bravi a usare le parole». Non l’ha scritta un editorialista dei giorni nostri, questa frase. L’ha scritta Cicerone nel 1° secolo a.C. Si riferiva a quelli che lui stesso definiva i loquentes (quelli che parlano per parlare, senza pensare alle conseguenze di quello che dicono) contrapponendoli agli eloquentes (quelli che parlano «per bene», e valutano gli effetti di ciò che comunicano). I primi sono per Cicerone disertissimi homines: illusionisti del linguaggio, comunicatori da quattro soldi, demagoghi del foro o del Senato. Ne siamo circondati ancora oggi, li vediamo in azione ogni giorno nella galassia dei media: sono i ciarlatani da talk show, gli acrobati degli anacoluti, i prestigiatori dell’insulto, i campioni della rissa verbale.
Sono quelli che in piena pandemia hanno avuto la responsabilità non solo di provocare un collasso della comunicazione ma di precipitare l’opinione pubblica nell’incertezza, nel disorientamento, nella misinformazione. Che è cosa anche peggiore della disinformazione: quest’ultima sottrae o nasconde notizie all’opinione pubblica, mentre la misinformazione dà l’illusione di sapere ma pone l’utente finale nella condizione di non poter verificare l’attendibilità o la veridicità delle informazioni che gli vengono trasmesse. Il carosello informativo sulle mascherine (si, no, così, cosà, queste sì, queste chissà….) o su AstraZeneca (solo sotto i 50, mai sopra i 65, no solo sopra i 65…) sono solo due degli infiniti esempi di una misinformazione che ha gettato tutti nella confusione e nella sfiducia. In questo scenario di ecolalia dilagante, e di reiterati e ripetuti insuccessi della maggior parte delle campagne comunicative sui vaccini, ecco piombare come un miracolo di leggiadria il video di Checco Zalone e Helen Mirren che impiegano tre-minuti-tre per celebrare gli effetti del vaccino e la ritrovata desiderabilità erotica di chi è stato vaccinato. […]
Dopo mesi di comunicazione dominata dai registri dell’invettiva, della rissa, della smentita, dagli insulti fra virologi e immunologi, da bradisismi e borborigmi verbali di ogni tipo, ci volevano un comico e un’anziana signora «con un corpo da cineteca» per ritrovare i registri dell’ironia, del gioco, del corteggiamento, del ballo, e per ricordarci — quasi in forma di madrigale — che il linguaggio non è mai solo uno strumento inerte ma è un modo di pensare e, quindi, anche di vivere. A suo modo, La vacinada è un esempio di ecologia linguistica: un messaggio che non inquina l’habitat comunicativo ma lo rende di nuovo abitabile e vivo e vitale. È probabile che Cicerone lo avrebbe messo fra gli eloquentes, uno come Checco: anche se sbaglia le desinenze e a volte, scherzando, deturpa grammatica e sintassi.» (Gianni Canova, Rettore Università Iulm di Milano – Corriere della Sera, 13 maggio 2021)