Synchronicity is an ever present reality for those who have eyes to see (La sincronicità è una realtà da sempre esistente per coloro che posseggono gli occhi per vederla) Carl Gustav Jung
«C’è stato un momento in cui la grammatica del mondo sembrava chiarita: alla radice di tutte le variegate forme della realtà sembravano esserci solo particelle di materia guidate da poche forze. L’umanità poteva pensare di aver sollevato il velo di Maya: aver visto il fondo della realtà. Ma non è durato a lungo: molti fatti non tornavano.
Fino a che nell’estate del 1925 un ragazzo tedesco di 23 anni è andato a trascorrere giorni di agitata solitudine in una ventosa isola del Mare del Nord: Helgoland, l’Isola Sacra. Lì, sull’isola, ha trovato un’idea che ha permesso di rendere conto di tutti i fatti recalcitranti e di costruire la struttura matematica della meccanica quantistica, la «teoria dei quanti». Forse la più grande rivoluzione scientifica di tutti i tempi. Il nome del ragazzo era Werner Heisenberg. […]
La teoria dei quanti ha chiarito le basi della chimica, il funzionamento degli atomi, dei solidi, dei plasmi, il colore del cielo, i neuroni del nostro cervello, la dinamica delle stelle, l’origine delle galassie… mille aspetti del mondo. È alla base delle tecnologie più recenti: dai computer alle centrali nucleari. Ingegneri, astrofisici, cosmologi, chimici e biologi la usano quotidianamente. Rudimenti della teoria sono nei programmi delle scuole superiori. Non ha mai sbagliato. È il cuore pulsante della scienza odierna. Eppure resta profondamente misteriosa. Sottilmente inquietante. Ha distrutto l’immagine della realtà fatta di particelle che si muovono lungo traiettorie definite, senza chiarire come dobbiamo invece pensare il mondo. La sua matematica non descrive la realtà, non ci dice «cosa c’è». Oggetti lontani sembrano connessi fra loro magicamente. La materia è rimpiazzata da fantasmatiche onde di probabilità. […]
Se la stranezza della teoria ci confonde, ci apre anche prospettive nuove per capire la realtà. Una realtà più sottile di quella del materialismo semplicistico delle particelle nello spazio. Una realtà fatta di relazioni, prima che di oggetti. La teoria suggerisce strade nuove per ripensare grandi questioni, dalla struttura della realtà fino alla natura dell’esperienza, dalla metafisica fino, forse, alla natura della coscienza. Tutto questo è oggi materia di dibattito vivacissimo fra scienziati e fra filosofi. […] Sull’isola di Helgoland, spoglia, estrema, battuta dal vento del Nord, Werner Heisenberg ha sollevato un velo fra noi e la verità; oltre quel velo è apparso un abisso.» (Carlo Rovelli – Corriere della Sera, 1 settembre 2020)
«È quasi la fine dell’anno. Whatsapp mi avvisa che è arrivato un messaggio. Lo guarderò dopo. Un minuto dopo un altro bling. Butto l’occhio e vedo le notifiche di due messaggi con fotografia. Uno è di mia sorella, l’altro di una cara amica. Le due, che si conoscono appena, stanno viaggiando in continenti diversi. Apro le foto e penso: «Jung sarebbe contento». Sì, perché le due foto sono quasi identiche: ritratto di donna con falco. Sorella e amica, nello stesso momento e in due paesi diversi, si erano fermate al chiosco di un falconiere che, per fare qualche soldo, offre il rapace ai turisti per un avventuroso scatto. Il piccolo episodio cattura la mia curiosità per tre ragioni: la rarità del soggetto (un falco, mica un gattino); la contemporaneità dell’evento; l’avvento di un concetto, la sincronicità, curioso ma privo di evidenza empirica, a cui ho sempre dato poco peso. Jung, invece, gliene diede molto, al punto da dedicargli un saggio: La sincronicità come principio di nessi acausali .
Dove formula ipotesi su certi fenomeni di correlazione psicofisica «inspiegabili e inaccettabili dalla scienza causalistica e purtuttavia costantemente osservabili». In poche parole: eventi paralleli, nessuna influenza reciproca, coincidenza temporale, risonanza interiore. Il rapporto tra sincronicità e tracce mnestiche sovraindividuali, discontinuità quantiche, relatività delle categorie di spazio e tempo e molte altre diavolerie furono anche oggetto di una fitta corrispondenza tra Jung e Pauli, fisico austriaco e premio Nobel. Non ho propensioni magiche, astrologiche o divinatorie, la new age mi indispone. Anche se non sono un razionalista di ferro e ho toccato con mano i limiti delle Dea Ragione, continuo a sentirmi nipote dell’illuminismo e propendo più per la casualità che per l’acausalità.
Allora mi è venuto in mente un quarto modo di guardare all’episodio dei falchi: la connessione. Senza i nostri smartphone, senza la rete invisibile che lega, spesso opprimendole, le nostre vite, non avrei partecipato, con sorella e amica, alla coincidentia falcorum. Tra le tante immagini che ci scambiamo molte sono inutili e moltissime, soprattutto se esibiscono il privato su Facebook, sono perniciose. A volte però lo scambio immaginale è nutriente condivisione di un mondo interno che trova coincidenza con l’aura degli oggetti che abitano il mondo.
Tra noi e il mondo c’è una continuità invisibile che a volte può essere colta in oggetti la cui aura ci raggiunge e risuona in noi: «l’apparizione unica di una lontananza per quanto possa essere vicina», direbbe Benjamin. Ci aiuta trovare, con il poeta Wallace Stevens, «la via attraverso il mondo», ben più difficile di quella «al di là del mondo». Nessuna confusione dunque tra psicologia e spiritualismo, ma capacità di accorgersi del paesaggio e delle sue connessioni, proprio come accade quando raccontiamo un sogno. C’è qualcosa della vecchia idea platonica dell’anima mundi che è bene rispolverare in tempi di disastro ecologico. Forse anche dell’idea moderna di mente estesa («dove finisce la mia mente e dove inizia il resto del mondo?» si domandano i filosofi analitici Clark e Chalmers in un famoso articolo sulla nostra interazione cognitiva con l’ambiente). Senza cadere in animismi oscuri e anzi più vicini a una psicologia consapevole, potremmo leggere l’anima del mondo come una possibilità di connessione offerta da un oggetto o un evento esterni. Il mondo infuso d’anima è un mondo animato da noi; l’anima mundi è ciò che fa del mondo sensibile un oggetto della nostra immaginazione. Ciò che rende gli oggetti immagini psichiche. […]
Tutto questo non per fare di noi degli sciamani, ma degli umani più consapevoli dei legami profondi e più refrattari a quelli superficiali, più modesti e rispettosi dell’incomprensibile animato, attenti ai significati impliciti e al firmamento dei nostri multipli sé. Attenti inevitabilmente anche ai doni di Ermes (tra cui l’ermeneutica), alle sue caviglie alate, ai suoi enigmi, sintomi e furti (è pur sempre il dio della rete). In una parola, più attenti all’impercettibile del quotidiano. E dunque più poetici, come la nostra Szymborska: «Ieri mi sono comportata male nel cosmo./ Ho passato tutto il giorno senza fare domande,/senza stupirmi di niente […] Il savoir-vivre cosmico,/benché taccia sul nostro conto,/tuttavia esige qualcosa da noi:/un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal/ e una partecipazione stupita a questo gioco con regole ignote». (Vittorio Lingiardi – la Repubblica, 31 gennaio 2020)
Si dice che ogni religione chieda una fede che supera la credibilità, perché se tutto fosse razionalmente spiegabile ci troveremmo davanti a una scienza non a una fede, che si chiama così proprio perché esige fiducia. Però la scienza stessa dimostra che la realtà è mistero. Non avere fede non significa comunque rinunciare alla spiritualità; e la spiritualità è molto spesso un arricchimento che la scienza non riesce mai a contraddire fino in fondo.