Le menzogne alle quali crediamo

Un libro deve essere un’ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi. (F. Kafka)

 

UNO. «A New York ho vissuto per un certo periodo in un palazzo e sul mio stesso pianerottolo abitava una giovane madre con tre figli maschi. Il giorno del compleanno del bambino più piccolo gli hanno organizzato una festa. Ed è stata una festa in piena regola. Il bambino era sovraeccitato. Andati via tutti gli ospiti, l’ho sentito piangere e dire a sua madre: «Odio il mio compleanno!». Lei con gentilezza gli ha detto: «Ma no che non odi il tuo compleanno. Hai avuto un compleanno fantastico!». Dentro di me ho pensato: no, quel bambino ha odiato davvero il suo compleanno. Questo genere di cose accade di continuo. Fin dalla più tenera età gli adulti ci dicono che quello che diciamo non è vero.

Se diciamo “odio mio fratello” ci dicono: non è vero che odi tuo fratello, tu gli vuoi bene. Invece, in quel momento preciso, con il trasporto genuino che è tipico dei bambini, di fatto noi proviamo odio puro per nostro fratello. Intendiamoci: non sto parlando di come si allevano i bambini. Sto parlando di parole, di linguaggio e di quello che apprendiamo a fare di esso. Lentamente i bambini capiscono che il linguaggio che ascoltano — e utilizzano — non è rappresentativo di ciò che vivono. Spesso ho pensato che queste emozioni sono sradicate da noi a martellate dall’uso improprio del linguaggio, da adulti ben intenzionati, al punto che quando diventiamo adulti noi stessi non sappiamo nemmeno più che cosa proviamo. E così, dentro di noi abbiamo questo mare di ghiaccio.» (Elizabeth Strout)

DUE. «I personaggi di questo romanzo, sebbene diversi tra loro, hanno un punto comune: tutti ripugnano dal conoscersi a fondo. Ognuno capisce se stesso solo quanto gli occorre; ognuno tiene i suoi pensieri sospesi, fluidi, indecifrati, pronti a mutare secondo la sua convenienza, senza contraddizione né bugia né riforma; ognuno sembra pensare alla propria anima non come sua essenzialmente, ma come un altro essere con cui convive, seguendo una regola di diplomazia, traendone di volta in volta o voluttà o medicina, o perdono. Se noi, più esatti o meno pietosi di lui, vogliamo dare a questo comportamento il nome che gli compete, siamo forse costretti a definirlo malafede. La malafede è un’arte di non conoscersi, o meglio di regolare la conoscenza di noi stessi nel metro della convenienza.

Mi si può chiedere se non sia inverosimile che i miei personaggi non lascino nemmeno per un istante questa intima diplomazia. Dico che un uomo è sempre o mai in malafede; la malafede non è uno stato dell’animo, è una sua qualità. […] Bisogna ammettere che lo stato dell’uomo è stato di infermità, ed ognuno di noi deve certo capirsi, ma soprattutto assistersi e prendersi in cura. Ognuno di noi, come medico, nel suo animo deve saper rischiare o abbuiare, ricordare o, se occorre, lasciar cadere nell’oblio, e regolare la chiarezza interiore con una specie di umana diplomazia. Diplomazia, ma quella stessa che insegna a nascondere anche nel nostro segreto le cose meno degne dell’animo nostro, a dissimulare il fastidio che ci dà un sofferente, a tollerare per anni senza mostrarlo il peso di un matrimonio increscioso; e ad ammettere in noi solo quello che è utile, che può diventare buono.

I personaggi del mio libro possiedono questa intima diplomazia, ma volta a cattivo scopo e ad esclusivo profitto della loro pigrizia e del loro egoismo.» (Guido Piovene – da Lettere di una novizia, nota introduttiva)

TRE.

Preliminare di accordo

Tuttavia un minimo d’impostura è necessario – mi disse.
La verità non coincide con la saggezza.
Stanno contro il disordine alcune regole del gioco.
Sii grato al rituale. La verità ti divora.

Hai ragione – si aspettava che rispondessi.
Recitiamola pure la farsa del ragionevole.
Anch’io ripeterò che tutto non si può avere
pronto a morire purché non crolli il letto dove muoio.

Ma anche per me era l’ultima occasione che restava.
E prima di sottoscrivere solo chiedevo se in cambio
dell’accettare quel molto di finzione che diceva
un minimo di verità sarebbe stato compatibile.

Giovanni Giudici

In testata: Caspar David FriedrichIl mare di ghiaccio (Das Eismeer), 1823 – 1824, olio su tela,  Amburgo, Hamburger Kunsthalle – Il brano Blackwater dei Rain Tree Crow è contenuto nell’album Rain Tree Crow (1991)

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