L’ho picchiata solo lunedì

«Che cosa c’è di più schifoso di un aguzzino? C’è la sua claque anonima, i suoi fan che applaudono lo scempio dei corpi, la tortura, l’umiliazione, l’azzeramento umano, e poi la sera danno un bacetto alla mamma, alla moglie, al figlio, una carezza al cane, e mangiano la minestrina nel loro tinello.

Vorrei che ne prendessero almeno uno, di questi tracciatori di svastiche e di scritte nazi sui portoni, per vedere al telegiornale che faccia ha, che nome porta, per sapere di quale vita è vittima, uno così: uno che invoca il rastrellamento, il vagone piombato, il forno, e i corpi che diventano sapone, e se la gode. Lo penso porco, lo penso merda, e chiedo scusa a porco e a merda, e mi vergogno di me stesso, trascinato nell’odio abietto del quale lui è l’attore, io lo spettatore impotente.

Dobbiamo veramente ringraziare Liliana Segre per l’altezza della sua testimonianza.

Leggendo sui giornali di certe scritte, di certe frasi (per esempio il consigliere comunale di Trieste, fascista impunito, che si è detto «offeso» alla notizia che Cristo era ebreo: o gran coglione, credevi forse che a Nazareth nascessero i turchi, i pugliesi, gli islandesi?) mi sento invece basso. Vorrei avere vent’anni, e voglia di menare le mani, e niente da perdere. Mi viene da piangere per la rabbia, considerando gli ometti e le donnette che ancora oggi, nonostante il tempo, nonostante gli innocenti uccisi, le parole dette, il sangue versato, la ferocia organizzata a misura di ometti e donnette, ancora tracciano la svastica e indicano, sul portone, la via dello sterminio.» (Michele Serra – la Repubblica 31 gennaio 2020)

Chi segue e stima Michele Serra – come noi – rimane stupito dal tono “aggressivo” di questo suo scritto, inusuale rispetto alla sobrietà e alla pacatezza che di solito caratterizzano le sue argomentazioni. Ma sobrietà e pacatezza non sono affatto in contraddizione con fermezza e indignazione, al contrario. Così, a quanto pare, sembra la pensasse anche Dante Alighieri; per esempio quando tratta di prepotenti, violenti e boriosi come il Filippo Argenti del canto ottavo della Divina Commedia:

«…Quanti si tegnon or là su gran regi / che qui staran come porci in brago, / di sé lasciando orribili dispregi!” /

E io: “Maestro, molto sarei vago / di vederlo attuffare in questa broda / prima che noi uscissimo dal lago” / Ed elli a me: “Avante che la proda / ti si lasci veder, tu sarai sazio: / di tal disio convien che tu goda”.»

Vittorio Sermonti parafrasa così i versi di Dante: «Quanti sono quelli che lassù si credono gran regi (praticano, cioè, l’arroganza banditesca di chi si considera al di sopra delle leggi), e qui staranno come porci nella mota, avendo lasciato di sé sulla terra atroci e spregevoli ricordi (orribili dispregi)!”

Se è duro Virgilio, Dante è durissimo: “Maestro, tanto che traversiamo, sarei proprio felice di veder appozzare quello lì in quella broda”.

E Virgilio, pronto: “Prima che l’altra riva si profili (Avante che la proda / ti si lasci veder), sarai contentato: è sacrosanto che tu ti prenda questa soddisfazione”.»

«Da poco meno di sette secoli, e non senza qualche buona ragione, lettori ordinari e studiosi eminenti continuano a trasecolare della brutalità con cui Dante rimbecca questo miserabile; come del fatto che Virgilio la aggravi con lo spintone e con l’ingiuria. (…) In termini generali, varrà comunque la pena di osservare come il pellegrino-peccatore, per consumare l’esperienza morale e conoscitiva dell’Iracondia (o “ira mala”) e mondarsene, non pratichi, quaggiù all’inferno, la virtù antagonista della mansuetudine, ma piuttosto quell'”ira per zelum” che Tommaso contrapponeva, appunto all'”ira mala”, lodandola, sulla scorta dell’Etica Nicomachea, come attestato di sensibilità per le offese patite dai giusti.

E che cosa Virgilio accredita al discepolo dandogli dell'”alma sdegnosa”, e ratificando l’epiteto con un bacio, se non “ira per zelum”?… quella collera sacrosanta, nell’esercizio della quale il cittadino Alighieri, come ben noto, non mancò occasione per distinguersi.

Verosimile, dunque, che con questo episodio il poeta voglia dirci chiaro e tondo: il fatto ch’io mi infuri tanto – nell’aldiqua come nell’aldilà – non significa ch’io sia iracondo, anzi, significa pressoché il contrario. E chi ha il coraggio di contraddirlo?» (Vittorio Sermonti, L’inferno di Dante – BUR, 2015)

Mancano forse gli esempi quotidiani in tutti i tempi: passati e/o trapassati prossimi e remoti, oppure nell’imperfetto presente, cui applicare tale principio? No di certo! Per quanto riguarda l’oggi, ne facciamo uno a caso tratto dalla cronaca giornalistica:

«MAZARA DEL VALLO — Per due volte aveva denunciato il marito violento che l’ha massacrata di botte fino alla morte: «È ossessionato dalla gelosia», Rosalia Garofalo lo aveva ripetuto ad aprile e ad ottobre. Ma poi, aveva ritirato le querele. E a novembre, dopo un mese in una comunità protetta, era anche tornata a casa. «Siamo sposati da trent’anni — aveva sussurrato — Vincenzo è il padre di mio figlio. Non è una cattiva persona, ogni tanto si arrabbia, ma poi passa». Rosalia aveva 52 anni, era una donna sola in quella casa di campagna alla periferia di Mazara.

Mercoledì sera, Vincenzo Frasillo, ha chiamato il 118. Con voce tranquilla ha detto: «Mia moglie si è sentita male, venite». L’hanno trovata distesa sul letto matrimoniale, ormai senza vita. I sanitari hanno capito subito: c’erano lividi su tutto il corpo e tracce di sangue in cucina, soggiorno e bagno. «Abbiamo trovato i segni di una violenza inaudita», dice il capo della squadra mobile di Trapani Fabrizio Mustaro. Eppure, il marito ha continuato a ripetere per tutta la notte: «L’ho picchiata solo lunedì, niente di più, non l’ho uccisa» (…)

Oggi, in via Calipso, una strada sterrata che porta ad alcune villette, i vicini dicono di non essersi accorti di nulla. «Mai una discussione, mai una lite», sussurra un uomo, che poi si allontana velocemente. Eppure, a Mazara, in tanti sapevano che Rosalia viveva il suo inferno in quella casa di campagna. «Aveva provato a rifarsi una vita in comunità — racconta un’amica — Ma è andata male». Lui continuava a cercarla, a ossessionarla con la sua gelosia. Ora, l’esame del medico legale parla di botte anche con un bastone. Rosalia non ha avuto la forza di reagire. Era sola.» (Salvo Palazzolo – la Repubblica, 31 gennaio 2020)

La banalità del male è sempre in mezzo a noi; contro di essa è più che giusto scatenare quella collera sacrosanta di cui sopra. Chi non sa arrabbiarsi non è buono, è solo accondiscendente; molto spesso è anche complice. E cosa c’è di più schifoso di un aguzzino?…

In testata: George Grosz, Eclissi di sole (1926) – A seguire: Hans Hartung Senza titolo, 1956

 

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