UNO. La mia vita e i miei tempi (Piano B edizioni, 2012) è la deliziosa e ironica autobiografia di Jerome K. Jerome, autore tra l’altro di Tre uomini in barca e Tre uomini a zonzo. In questo libro, Jerome ci informa che il suo collega e amico Arthur Conan Doyle – creatore di Sherlock Holmes e capostipite del sottogenere letterario denominato “giallo deduttivo” – ha sempre avuto la passione dell’occulto e che una volta gli raccontò questa storia: «Lui e un altro membro della Società delle Ricerche psichiche furono mandati in un vecchio maniero del Somerset a studiare un “fenomeno”, come si dice ora, o una storia di fantasmi”, come avrebbero detto le nostre nonne. Vivevano in quel maniero un colonnello in ritiro e sua moglie con la loro unica figlia nubile, di circa trentacinque anni. Per qualche tempo si erano avvertiti dei rumori: un lento gemito, che si levava come un singhiozzo lamentoso, e un suono come di una catena trascinata sul pavimento. I rumori si sentivano tutte le notti. Poi per un po’ erano cessati. Erano poi ricominciati. […]
Quella notte non accadde nulla. La seconda notte, Doyle, svegliandosi all’improvviso verso le due del mattino, udì i rumori esattamente come gli erano stati descritti: il lento gemito che si levava fino a un lamentoso singhiozzo e il trascinare di una catena. In un istante saltò giù dal letto. L’amico, che quella notte montava la guardia, era già nella galleria sopra la sala, da dove, ne era sicuro, provenivano i suoni. La signora e il colonnello li raggiunsero quasi immediatamente e la signorina pochi minuti dopo. La figlia, mentre rincuorava la madre che era terribilmente spaventata, disse che non aveva sentito nulla, che certo era tutta suggestione e un prodotto dell’immaginazione; soltanto dopo che i genitori si furono ritirati in camera ammise che aveva finto di non aver sentito i rumori solo per rincuorare la madre, e scoppiò in un violento pianto nervoso. L’esperienza medica di Doyle fu fondamentale. Per la notte seguente preparò un piano assieme all’amico e scoprì, come aveva sospettato, che lo spettro era in realtà la signorina stessa.»
DUE. Questa vicenda a nostro parere ha ispirato Conan Doyle, che avrà pensato: “Se questa signorina è riuscita ad imbrogliare in questo modo i genitori che la conoscono da oltre trentacinque anni, possibile che io non riesca a convincere i miei lettori – che comunque conosco abbastanza bene – con qualche storia magari inverosimile, ma tuttavia abilmente congegnata?” Così si mise subito al lavoro. Di fatto, la contingenza storica era incoraggiante; nella seconda metà dell’ottocento, infatti, tutta la cultura europea era dominata dai nuovi sviluppi delle tecniche e delle scienze naturali; muovendo dai fatti e dall’esperienza, ogni giorno si formulavano nuove leggi oggettive; si cercava la precisione, il rigore, la verifica diretta e si credeva, con fiducia ottimistica, nel progresso della scienza e in un continuo sviluppo della vita sociale e civile. In questo contesto, era inevitabile che comparisse il mitico Sherlock Holmes, l’infallibile quanto inattendibile super-eroe dell’epoca positivista. E infatti nacque proprio dalla penna di Arthur Conan Doyle. Questo il suo esordio:
«… – Il dottor Watson, il signor Sherlock Holmes – ci presentò Stamford. – Tanto piacere – disse Holmes in tono cordiale, stringendomi la mano con una forza di cui non l’avrei creduto capace. – A quanto vedo, lei è stato nell’Afghanistan. – Come fa a saperlo? – domandai stupefatto. – Lasci perdere – fece lui ridacchiando…»
Alla terza pagina del primo libro (Uno studio in rosso, pubblicato nel 1887), il dottor Watson e Sherlock Holmes hanno appena fatto conoscenza (vengono presentati da un comune amico allo scopo di condividere le spese dell’abitazione che affitteranno) e il protagonista si è già fatto notare per la caratteristica propensione a farsi gli affari altrui: pur non avendolo mai visto prima, l'”investigatore-consulente” Holmes ha capito tutto del futuro collaboratore, un medico militare in convalescenza per ferite di guerra. «Come diavolo avrà fatto a sapere che venivo dall’Afghanistan?» si chiede Watson sconcertato. È la stessa domanda che ci facciamo noi ignari lettori.
TRE. La spiegazione ci viene offerta qualche pagina dopo dallo stesso Holmes: «In me, lo spirito d’osservazione è una seconda natura. Lei è rimasto stupito quando le ho detto, al nostro primo incontro, che veniva dall’Afghanistan. – Senza dubbio, qualcuno gliel’aveva detto. – Niente di tutto ciò. Io ho capito che lei veniva dall’Afghanistan. Per lunga abitudine, il lavorio della mia mente è così rapido, che sono arrivato a quella conclusione senza esser conscio dei passaggi intermedi. Però, ci sono stati dei passaggi intermedi. Ecco il filo del mio ragionamento: quest’uomo ha qualcosa del medico, ma anche qualcosa del militare. È reduce dai Tropici, poiché ha il viso molto scuro, ma quello non è il suo colorito naturale, dato che ha i polsi chiari. Ha subìto privazioni e malattie, lo dimostra il suo viso emaciato. Inoltre, è stato ferito al braccio sinistro. Lo tiene in una posizione rigida e poco naturale. In quale paese dei Tropici un medico dell’esercito britannico può essere stato costretto a sopportare dure fatiche e privazioni, e aver riportato una ferita a un braccio? Nell’Afghanistan, naturalmente. S’intende che il mio cervello ha impiegato meno di un secondo a formulare questo sequenza di pensieri. Allora, le ho detto che veniva dall’Afghanistan, e lei è rimasto sbalordito.»
Semplice non è vero? Tutta questa perspicacia è naturalmente frutto di una attenta quanto impietosa disciplina formativa, di una severissima (un tantino manichea…) selezione delle fonti culturali, le quali fonti ci vengono così riepilogate dal dottor Watson: «Cognizioni di Sherlock Holmes: 1. Letteratura: zero. 2. Filosofia: zero. 3. Astronomia: zero. 4. Politica: scarse. 5. Botanica: variabili. Conosce a fondo caratteristiche e applicazioni della belladonna, dell’oppio e dei veleni in generale. Non sa nulla di giardinaggio e di orticoltura. 6. Geologia: pratiche, ma limitate. Riconosce a prima vista le diverse qualità di terra. Dopo una passeggiata, mi ha mostrato delle macchie sui suoi calzoni indicando, in base a colore e consistenza, in qual parte di Londra aveva raccolto il fango dell’una o dell’altra macchia. 7. Chimica: profonde. 8. Anatomia: esatte. ma poco sistematiche. 9. Letteratura sensazionale: illimitate. A quanto pare, conosce i dettagli di tutti gli orrori perpetrati nel nostro secolo. 10. Suona bene il violino. 11. É abilissimo nel pugilato e nella scherma. 12. É dotato di buone nozioni pratiche in fatto di legge anglosassone.»
QUATTRO. Continua Watson: «La sua ignoranza era notevole quanto la sua cultura. In fatto di letteratura contemporanea, di filosofia e di politica, sembrava che Holmes sapesse poco o nulla. Una volta mi accadde di citare Thomas Carlyle. Mi chiese nel modo più ingenuo chi era e che cosa avesse fatto. Ma la mia meraviglia giunse al colmo quando scoprì casualmente che ignorava la teoria di Copernico nonché la struttura del sistema solare. Il fatto che un essere civile, in questo nostro XIX secolo, non sapesse che la Terra gira attorno al Sole mi pareva così straordinario che stentavo a capacitarmene. – Sembra sbalordito – disse Holmes, e sorrise osservando la mia espressione. – Ora che mi ha insegnato queste cose, farò del mio meglio per dimenticarle. – Per dimenticarle?
– Vede – mi spiegò – secondo me, il cervello d’un uomo, in origine, è come una soffitta vuota: la si deve riempire con mobilia a scelta. L’incauto v’immagazzina tutte le mercanzie che si trova tra i piedi: le nozioni che potrebbero essergli utili finiscono col non trovare più il loro posto o, nella migliore delle ipotesi, si mescolano e si confondono con una quantità d’altre cose, cosicché diventa molto difficile trovarle. Lo studioso accorto invece, seleziona accuratamente ciò che immagazzina nella soffitta del suo cervello. Mette solo gli strumenti che possono aiutarlo nel lavoro, ma di quelli tiene un vasto assortimento, e si sforza di sistemarli nel miglior ordine. È un errore illudersi che quella stanzetta abbia le pareti elastiche e possa ampliarsi a dismisura. Creda a me, viene sempre il momento in cui, per ogni nuova cognizione, se ne dimentica qualcuna appresa in passato. Per questo è molto importante evitare che un assortimento di fatti inutili possa togliere lo spazio di quelli utili.» Vabbè, tanti auguri.
EPILOGO. Sherlock Holmes sarebbe senz’altro un perfetto Ministro della Pubblica Istruzione: si dedicherebbe a tempo pieno all’introduzione sperimentale delle competenze non cognitive nel metodo didattico nelle scuole di ogni grado e livello del giorno d’oggi. Il relativo piano didattico lo aveva già illustrato con grande preveggenza. Rivediamolo: «Lo studioso accorto seleziona accuratamente ciò che immagazzina nella soffitta del suo cervello. Mette solo gli strumenti che possono aiutarlo nel lavoro, ed è molto importante evitare che un assortimento di fatti inutili possa togliere lo spazio di quelli utili.» Ovviamente il concetto di utilità non si discute, essendo un valore predeterminato dall'”alto”. Quest’uomo è davvero un nostro contemporaneo a tutti gli effetti, e lo è grazie ai suoi innati talenti: «In sostanza abilità a integrarsi senza problemi nella società così com’è (in particolare a quella sua parte che ha a che fare con il mondo del lavoro), ad adeguarsi con successo ai suoi precetti, a introiettare le sue norme “auto controllandosi” e mostrandosi capace di “risolvere i problemi”».
Chiedo scusa, ma è proprio per questo motivo che all’infallibile e vincente Sherlock Holmes – “al suo sguardo acuto e penetrante e il naso sottile aquilino che conferiva alla sua espressione un’aria vigile e decisa” – preferirò sempre e di gran lunga quell’imbranato totale, completamente inetto e pasticcione che ne combina di tutti i colori dell’ispettore Closeau. Tra l’idiota geniale e l’idiota totale che non ne azzecca una, empatico e stupidamente umano, scelgo istintivamente il secondo; se non altro perché, senza dubbio, lui sì che assomiglia un po’ a tutti noi. O perlomeno a qualcuno di noi… o comunque, come minimo, almeno a me.