L’inquietante genere umano

A proposito di storia – e di storia tanto oscura quanto reale – forse non tutti sono consapevoli di un elemento di differenza in quell’orrore senza precedenti del sistema di genocidio nazista degli ebrei: l’idea e l’organizzazione dei “campi di sterminio”, spesso confusi con i “campi di concentramento”. I campi di sterminio furono soltanto quattro (cinque se vi comprendiamo Birkenau, la sezione di sterminio di Aushwitz), tutti in territorio polacco: Chelmno, Sobibor, Belsec, Treblinka. «Nessun campo di sterminio durò più di diciassette mesi, dopodiché, uno dopo l’altro, furono totalmente cancellati dalle SS.» I campi di concentramento furono invece dozzine, sparsi in tutta la Grande Germania e nell’Europa Occupata e sono stati descritti in tanti romanzi e in tanti film.

La differenza è che nei campi di sterminio gli ebrei venivano industrialmente sterminati nel giro di due ore dall’arrivo alla “stazione”, mentre i campi di concentramento erano concepiti come vasti mercati di lavoro schiavistico. «E anche nel peggiore di essi, per quanto terribili ne fossero le condizioni, v’era almeno una tenue possibilità di sopravvivenza.» Nei campi di sterminio no. A Treblinka furono uccisi dai 700 000 ai 900 000 internati, secondo solo al numero delle vittime di Auschwitz II (Birkenau). (da Wikipedia) Il suo comandante si chiamava Franz Stangl.

«Il giorno di Natale 1942, Stangl ordinò la costruzione della finta stazione ferroviaria. Un grosso orologio (con le lancette dipinte che non si muovevano mai, ma si riteneva che nessuno l’avrebbe notato), sportelli di biglietteria, e orari; frecce che indicavano direzioni ferroviarie ‘per Varsavia’, ‘per Wolwonoce’, e ‘per Bialystock’ erano dipinte sulla facciata della ‘baracca di smistamento’; tutto allo scopo di illudere i trasporti in arrivo […] e suscitare in loro la persuasione di essere arrivati in un vero campo di transito. “È possibile” consentì Stangl al suo processo “che io abbia ordinato la costruzione della finta stazione”. V’era anche una clinica per la guarnigione, un dentista, dei barbieri – e uno zoo. “Avevamo un quantità di splendidi uccelli,” disse Stangl “e panchine, e fiori. L’avevo fatto disegnare da uno specialista di Vienna – naturalmente, avevamo specialisti di ogni genere… È difficile farne oggi una descrizione adeguata, ma il posto diventò veramente bello.” (da Gitta Sereny: In quelle tenebre – Adelphi, 1975)

Proprio così: «È difficile farne oggi una descrizione adeguata», anzi impossibile. Si può comunque essere d’accordo con Daniele Del Giudice: «Io penso che la letteratura sia una forma di conoscenza, che dice le cose che altre forme di conoscenza non riescono a dire, come probabilmente ci sono delle cose che le altre riescono a dire e la letteratura no». Così come la musica, aggiungiamo.

E si può concordare anche con Guadalupe Nettel, qui intervistata da Mattia Insolia:

Le bugie e le omissioni e i silenzi: nelle sue storie sono fondamentali. Quel che i suoi protagonisti si mentono è più importante di quel che si dicono. 

Ci sono alcune parti di noi stessi che non riusciamo a dire, persino alle persone più vicine a noi. Sono incomunicabili, inammissibili, e sono parti imprescindibili di chi siamo.

Perché sono inammissibili? Qual è la radice di questa incomunicabilità?

Sono pezzi di noi di cui ci vergogniamo e per cui temiamo d’essere giudicati. A volte, può pure capitare che le teniamo nascoste per proteggere chi amiamo.

Lei cosa non riesce a dire?

Oh, tantissime cose! Per questo scrivo: per non parlare.

Il brano di  David Sylvian Darkest Dreaming è contenuto nell’album: Dead Bees on a Cake (1999)

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