E niente, leggiamo e ascoltiamo certe opinioni sulla questione del “merito” − soprattutto da parte di commentatori che si (auto)definiscono di area progressista − che viene da pensare: “Ma ci è o ci fa?” Qualche esempio:
«Non mi faccio una ragione che la sinistra si debba opporre al merito. Ma veramente dite? Adesso dopo identità, giustizia, sicurezza, legalità – continuate voi l’elenco – anche il merito lo dobbiamo regalare alla destra, siamo impazziti? Che cos’è, un suicidio plateale, una performance dadaista? Ragazzi, davvero. Ragioniamo. Per quale ragione al mondo il merito dovrebbe essere un demerito, per quale obliquo tragitto dire che bisogna dare opportunità a chi sa fare meglio le cose dovrebbe essere in contraddizione con l’evidenza che tutti devono avere la possibilità di dimostrare quel che possono fare e, dunque, farlo.» (Concita De Gregorio)
«Esaurite le reazioni a caldo sulla nuova denominazione del ministero dell’Istruzione voluta dal governo Meloni, ritengo opportuno tornare sul concetto di merito per provare a dare, mi si perdoni il gioco di parole, merito al merito. Nella maggior parte degli interventi pubblici orientati a sinistra sul tema, non può non colpire la cautela sospetta se non l’aperta demonizzazione di questa parola e del suo significato considerato alternativo all’inclusione se non decisamente classista. È la stessa allergia che la sinistra più ideologica mostra verso un’altra parola che si è rivelata decisiva per la vittoria politica della destra: sicurezza. Ogni volta che si usano le parole merito e sicurezza scatta una sorta di riflesso pavloviano di ripudio che sembra anticipare ogni possibile argomentazione. Si chiama, effettivamente, pregiudizio ideologico. (Massimo Recalcati)
«La parola “merito” è sotto attacco. È bastato che il ministero dell’Istruzione fosse ribattezzato “dell’Istruzione e del merito” per scatenare le critiche: promuovere il merito nella scuola equivarrebbe a favorire selezione e discriminazione.» (Luca Ricolfi)
«Le critiche sollevate contro Giorgia Meloni quando ha deciso di aggiungere il termine «merito» al ministero dell’Istruzione non sono diverse da quelle che ci sono state in passato in occasione di tentate riforme della scuola da parte di politici come Mariastella Gelmini e Matteo Renzi (la “buona scuola”). E anche questa volta sono essenzialmente di natura ideologica: criticano l’idea che il merito alla fine sia poco “giusto” perché qualunque sua misura e utilizzo penalizza i più deboli.» (Roger Abravanel)
Si potrebbe continuare a lungo; forse però è più costruttivo suggerire di andarsi a (ri)leggere − per esempio − le suggestioni contenute nel Tonio Kröger di Thomas Mann:
«Dato che a casa perdeva il tempo inutilmente, a scuola era d’intelligenza tarda e distratta, e dagli insegnanti non era tenuto in gran considerazione, prendeva sempre i voti peggiori, e suo padre, un signore alto, accuratamente vestito, con gli occhi azzurri pensierosi, il quale portava sempre all’occhiello un fiore di campo, se ne mostrava sdegnato e afflitto. Invece per la madre di Tonio, la sua bella mamma dai capelli neri, di nome Consuelo e tanto diversa dalle altre signore della città, perché il padre era andato a prendersela, un giorno, in un paese basso basso nella carta geografica, per sua madre le pagelle eran del tutto indifferenti. […]
D’altra parte sentiva molto più dignitoso e rispettabile lo sdegno del padre con cui, nonostante i rimproveri subiti, era completamente d’accordo, mentre trovava un po’ trascurata l’indifferenza serena della madre. Talvolta pensava pressapoco così: è già abbastanza che io sia come sono e che non voglia e non possa cambiarmi: negligente, caparbio e con la testa alle cose cui nessun altro pensa. È giusto che perlomeno mi si sgridi e mi si punisca, e non che ci si passi sopra con baci e musica. Noi non siamo mica zingari nel carrozzone verde, bensì gente per bene, la famiglia del console del console Kröger, dei Kröger…
Non di rado pensava anche: perché son così stravagante e in conflitto con tutti, in dissidio con gli insegnanti ed estraneo tra gli altri giovani? Guardati un po’ i buoni scolari e quelli di mediocrità solida. Non trovano buffo l’insegnante, non scrivono versi e pensano solo cose che appunto si pensano e si possono manifestare apertamente. Come devono sentirsi ammodo e d’accordo con tutto e con tutti! Deve’essere bello… Ma che ho io, e come andrà a finire tutto questo?» (Thomas Mann: da Tonio Kröger – Garzanti, 1992)
La questione sembra davvero molto semplice: chi è che in fondo può dirsi contrario al merito? Nessuno. Il fatto è che si tratta di un termine astratto, di cui non esiste definizione unica e definitiva. Esso viene quindi continuamente declinato e imposto nella realtà pratica da chi ha la posizione, gli strumenti il potere per farlo. La domanda (il dubbio) è in fondo banale: come intende applicarlo la maggioranza di Governo? Qualcuno lo ha chiaro? Chi giudica il merito? Chi è in grado di valorizzare i talenti e come? Quali sono i percorsi per arrivare a “giudicare” un talento piuttosto che un altro?
Quando si cerca di definire con precisione cosa significhi “meritevole” le cose si complicano parecchio: la verità è che chi detiene il potere considera più meritevoli coloro che ritengono “adeguati alle loro richieste”; il che però è tutta un’altra cosa. Dai ministeri ai vertici delle aziende sanitarie, dalle municipalizzate alle grandi aziende private, alle università, ecc. ecc… troppo spesso il merito più gratificato e riconosciuto non è la capacità, ma la fedeltà.
Il merito nella scuola, nell’istruzione c’è già per definizione, è davvero superfluo aggiungerlo al nome del ministero di riferimento. Enfatizzarlo in questo modo significa solamente affermare la propria ferma volontà di definirne in modo univoco il significato, i relativi parametri e la possibilità di giudizio definitivo. Che però non ha corrispondenza nella realtà. Quello che la scuola deve o dovrebbe fare è invece dare a tutti la possibilità di esprimere al meglio gli infiniti talenti e sensibilità individuali, senza stabilire parametri di giudizio rigidi e strumentali, utili solo per fini di parte che sono l’esatto contrario della vera Istruzione, quella con la i maiuscola.
Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire. «Il potere ha regole immutabili, e la disciplina è una di queste, ma soprattutto è terribilmente noioso: un susseguirsi di abitudini burocratiche e compromessi pratici che non può convivere con la fantasia.» (Massimo Gramellini) Il potere tenta sempre di imporsi e troppo spesso, ahinoi, ci riesce benissimo; anche e soprattutto condizionando e indirizzando − sia a valle che a monte − la pubblica istruzione; ed ecco che i suoi “meritevoli” saranno sempre preferiti.