L’eversione nera, lo Stato ancora infettato dal fascismo mai morto, i poteri occulti dei quali la P2 di Gelli in quel momento era l’incarnazione più attiva.
Sono i tre ingredienti della strage di Bologna e di molte che la precedettero, a partire da piazza Fontana. Con infinita fatica, e scavalcando depistaggi seminati come mine sulla sua lunga strada, la giustizia ha ricostruito almeno in parte la storia orrenda dello stragismo italiano: clamoroso (ma non per tutti i giornali) il riconoscimento del neofascista Bellini da parte della moglie nelle immagini che lo ritraggono alla stazione di Bologna nei momenti della strage.
Se il terrorismo rosso è quasi tutto raccontato, delitto per delitto, quello nero è riuscito, per mezzo secolo, nell’impresa di semi-occultare la propria storia. Non tanto nelle carte giudiziarie quanto nel racconto mediatico e nella memoria collettiva. Si può dire che nei due diversi esiti è descritto molto delle due diverse culture di morte: rivendicata quella dei rossi, nel nome di una inesistente “giustizia proletaria”, sotterranea e omertosa quella dei neri, inconfessabile per sua natura.
Il risultato è che se provate a chiedere a uno studente delle superiori chi erano i brigatisti rossi, qualche risposta, anche approssimativa, riuscirà a darvela. Ma chiedetegli chi era Licio Gelli, chi era Mario Tuti, che cosa furono Avanguardia Nazionale e Ordine Nero, e non saprà dirvi niente, o quasi. Una delle prove provate dell’inesistenza di una egemonia culturale di sinistra è la difettosa coscienza media di quegli anni atroci. A meno che, per egemonia culturale, si intenda la capacità di riconoscere i propri mostri. La sinistra lo ha fatto, evidentemente alla destra mancano gli strumenti per farlo. (Michele Serra – la Repubblica, 3 agosto 2021)
I mostri è un film ad episodi del 1963 diretto da Dino Risi. Tra I nuovi mostri ci sono invece gli eredi che difendono a prescindere l'”immagine“, i “princìpi” e le “azioni” degli avi, fossero pure criminali assassini nazifascisti sotto copertura. La loro pedante profondità etica è subordinata – ovviamente in proporzione inversa – al grado di parentela (diretta o acquisita fa lo stesso). Ai loro occhi, i concetti di giustizia e di verità storica conseguono alle esigenze individuali o di gruppo, se ne adeguano e quindi scompaiono dietro al miope paravento del familismo amorale. Esistono davvero.