Noi, gli ignavi

«Stepàn Arkàdievič riceveva e leggeva un giornale liberale, non estremista, ma di quella tendenza che seguiva la maggioranza. E, malgrado che né la scienza, né l’arte, né la politica a rigor di termini lo interessassero, egli si atteneva rigidamente alle opinioni che in tutte queste materie seguivano la maggioranza e il suo giornale, e le mutava solo quando la maggioranza le mutava, o, per meglio dire, non le mutava, ma esse stesse mutavano insensibilmente in lui.

Stepàn Arkàdievič non sceglieva né la tendenza né le opinioni, ma queste tendenze e opinioni gli venivano da sole, nello stesso preciso modo come egli non sceglieva la forma del cappello o del soprabito, ma prendeva quelli che si portavano. E aver delle opinioni per lui, che viveva in una certa società, con quel bisogno di una certa attività di pensiero che di solito si sviluppa negli anni della maturità, era così indispensabile come avere un cappello. E anche se c’era una ragione per cui egli preferiva la tendenza liberale a quella conservatrice, che seguivano pure molti del suo ambiente, questo era derivato non dal fatto ch’egli giudicasse la tendenza liberale più sensata, ma perché essa si avvicinava di più al suo modo di vivere.» (Lev Tolstoj – da Anna Karenina, parte prima, cap. III )

Chi sono gli ignavi nella Divina Commedia di Dante Alighieri? È il nome che Dante attribuisce ai peccatori che il Sommo Vate incontra nell’Antinferno. Li trovate ampiamente descritti nel Canto III dell’Inferno, dal verso 22 al 69. Si tratta in pratica di coloro che, durante la loro vita, non hanno mai agito né nel Bene e né nel Male, non hanno mai avuto idee proprie, ma si sono solamente schierati con il più forte. Fra di essi non si trovano solo esseri umani, ma anche tutti quegli Angeli che durante la battaglia fra Lucifero e Dio non scelsero alcun schieramento. Insomma, coloro che rimangono neutrali per mascherare la loro indecisione o assenza di idee.

Dante ha deciso di metterli nell’Antiferno perché non sono stati così malvagi da doversi meritare le pene dell’Inferno, ma non sono stati neanche così buoni da meritare le gioie del Paradiso. Come pena del contrappasso vengono costretti a inseguire nudi per l’eternità un’insegna bianca che corre veloce e gira su stessa (è il simbolo della loro incapacità a decidersi), mentre vespe e mosconi li pungono di continuo. Il loro sangue insieme alle loro lacrime viene poi succhiato da vermi. È una pena non troppo dolorosa rispetto ad altre nell’Inferno, ma di sicuro molto degradante.

Dante definisce queste anime come peccatori «che mai non fur vivi». Fondamentalmente, Dante disprezza tantissimo gli Ignavi perché per il poeta, dal punto di vista teologico, l’uomo deve per forza scegliere fra Bene e Male. Inoltre dal punto di vista sociale l’uomo doveva schierarsi politicamente. Per Dante l’uomo è un essere sociale e chi non ottempera ai suoi doveri verso la società, viene disprezzato. Anche Virgilio non sopporta gli Ignavi e dice a Dante di passare oltre senza prestargli attenzione. E nemmeno i Diavoli non li vogliono all’Inferno.

›Ignavia. Ovvero “mancanza di volontà e di forza morale”, ma anche “indolenza o viltà eletta a norma di vita.”Attitudini ed abitudini che, come “Abiti del Male” [Aristotele] annichiliscono la volontà di azione. Commercio, quello degli “Abiti del Male” ancora diffusissimo e in forte espansione. Indifferenza, negligenza e codardia paiono “demoni” che in ogni tempo dimorano nell’animo umano. Tanto da far temere che l’Antinferno dantesco, mai deserto, ma oltremodo affollato, rischi adesso di avere serie difficoltà di “accoglienza”. Silenti e vacui gli ignavi, oggi come ieri si sottraggono all’adoperarsi per il “bene comune”. Evitano, con accuratezza di “sporcarsi le mani”, di prendere decisioni, di schierarsi.

Con il loro comportamento facilitano il determinarsi della meschinità, della corruzione, del sopruso. Loro, per il vero, non si sentono per niente colpiti, implicati. Gli eventi accadono e basta. «La fatalità è la scusa che l’ignavia della non azione accampa a sua improbabile discolpa». [Marino Tarizzi, Aforismi 2008] Scordandosi che «chi non punisce il male comanda che lo si faccia».[Leonardo da Vinci] Consapevolezza interiore che implica il saper distinguere il giusto dall’ingiusto.» Il “Bene” dal “Male”. Capacità oggigiorno tutt’altro che scontata. (Patrizia Santovecchi – da Profiling)

«Però la nostra situazione è questa. È inequivocabile e urgente. I cambiamenti climatici non sono una malattia che può essere gestita, come il diabete; sono come un tumore maligno che deve essere rimosso prima che la moltiplicazione delle cellule cancerogene risulti fatale Non basta essere seri su quanto ci dice la scienza dei cambiamenti climatici; dobbiamo essere seri nelle nostre reazioni. E prendersela con i cattivi non è un’azione che vale di più che sfilare alle manifestazioni con i buoni o inoltrare agli amici le ultime ricerche o pontificare alle cene riempiendosi la bocca con tutte le parole giuste mentre ci si riempie lo stomaco con tutti i cibi sbagliati. «Dobbiamo fare qualcosa». È la frase che sembra essere sulla bocca di tutti, lo slogan ufficioso del momento. Eppure quasi nessuno fa niente, a parte ripetere che bisogna fare qualcosa – come se lamentarsi dell’inazione dei nostri leader sia di per sé un’azione.

Non possiamo salvare le barriere coralline. Non possiamo salvare l’Amazzonia. È improbabile che riusciremo a salvare le città costiere. L’entità delle perdite irreparabili è tale da darci quasi la sensazione che qualunque ulteriore sforzo sia inutile. Ma solo quasi. Milioni di persone – forse decine o centinaia di milioni – moriranno a causa dei cambiamenti climatici, e il loro numero conta. Centinaia di milioni di persone, forse miliardi, diventeranno rifugiati climatici. Il numero dei rifugiati conta. Conta quanti giorni all’anno i bambini avranno la possibilità di giocare all’aperto, quanto cibo e quanta acqua ci sarà, di quanti anni sarà l’aspettativa di vita media. Questi numeri contano, perché non sono solo numeri – ciascuno corrisponde a un individuo, con una famiglia, con manie e fobie, allergie e cibi preferiti, sogni ricorrenti e una canzone fissa nella testa, impronte digitali uniche e una particolare risata.

Noi sappiamo quello che dobbiamo fare. Dobbiamo mangiare meno prodotti di origine animale, prendere meno l’aereo, usare meno la macchina, fare meno figli. Forse davvero le nostre menti e i nostri cuori sono fatti in un modo che non ci permette di accettare quello che sappiamo essere vero. Forse è il momento di smettere di fare soltanto finta che ci importi. Ciascuno di noi prenderà la propria decisione. La somma di queste decisioni sarà il nostro futuro.» (Jonathan Safran Foer, da “Ti importa del pianeta o fai finta?” – la Repubblica, 4 settembre 2019)

L’illustrazione di Priamo della Quercia (Siena, 1400 circa – Siena, 1467) – Gli ignavi, è tratta dalle miniature della Divina Commedia (Inferno e Purgatorio), British LibraryLondra – Il brano La ballata dell’ignavo dei Marlene Kuntz è contenuto nell’album Uno (2007)

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