«Club 27 (anche 27 Club o Club of 27) è un’espressione giornalistica che si riferisce ad alcuni artisti, in prevalenza cantanti rock, morti all’età di 27 anni. Con la variante J27 si fa riferimento al fatto che, oltre ad avere 27 anni, molti di loro avessero la lettera J come iniziale del nome o del cognome.» (da Wikipedia) Insomma: una vera tragedia per l’arte mondiale del ventesimo secolo, e oltre. Sconsolatamente, riportiamo di seguito un ricordo degli iscritti al “triste circolo”.
Robert Johnson (Hazlehurst, 8 maggio 1911 – Greenwood, 16 agosto 1938). Molti lo conoscono appunto come il primo ad entrare nell’infausto “Club 27“. «Ha avuto una vita breve e di sicuro non facile; è stato anche, probabilmente, uno dei musicisti blues più dotati e più universalmente riconosciuti come padri della musica rock contemporanea. Ma sebbene la sua leggenda faccia, e abbia fatto palpitare i cuori di molti amanti della musica “del diavolo”, la storia di Robert Johnson è stata prima di tutto quella di un “nero” americano, alle prese con una società ancora fortemente ghettizzata, in cui il blues era una valvola di sfogo per poter raccontare una condizione di disagio e di segregazione. Si dice che Robert Johnson avesse venduto la propria anima al diavolo all’incrocio tra le highway 61 e 49 a Clarksdale, e che da quel momento si fosse spinto sino a St.Louis, Chicago, Detroit e New York, in cerca di successo. La vita, adesso così sfavillante, non gli riservò però ancora molti anni da spendere sui palchi dei locali in cui si poteva suonare blues. Il 16 agosto 1938, a soli 27 anni, Robert muore.» (Diego Remaggi – glistatigenerali.com)
Lewis Brian Hopkin Jones (Cheltenham, 28 febbraio 1942 – Hartfield, 3 luglio 1969), noto semplicemente come Brian Jones. Nel 1962, il giovanissimo Brian decise di mettere su una band: ingaggiò Ian Stewart e Mick Jagger, che portò con sé Keith Richards: fu l’inizio dei Rolling Stones. La band esordì il 12 luglio 1962 al Marquee club di Londra. Il gruppo si affiatò ben presto, e si unirono in seguito Bill Wyman e Charlie Watts. A soli 27 anni Jones morì nella sua casa intorno alla mezzanotte del 3 luglio 1969. Il suo corpo venne rinvenuto sul fondo della piscina nella sua casa a Hartfield, Sussex, in Inghilterra, dove era rimasto per pochi minuti prima di perdere i sensi. La sua fidanzata Anna Wohlin era ancora convinta che fosse vivo quando lo tolsero dall’acqua, insistendo sul fatto che ne sentiva ancora il polso. All’arrivo dei dottori sul posto oramai era troppo tardi per Brian e fu dichiarato il decesso. Inizialmente la morte sembrava accidentale, anche a causa dell’abuso di alcool e droghe che avevano indebolito cuore e fegato del musicista. Sulla sua lapide furono incise queste parole: “Non giudicatemi troppo severamente“.
James Marshall “Jimi” Hendrix, nato Johnny Allen Hendrix (Seattle, 27 novembre 1942 – Londra, 18 settembre 1970), è stato un chitarrista e cantautore statunitense. È stato uno dei principali innovatori nell’uso della chitarra elettrica nella musica rock: durante la sua breve carriera è stato un precursore per le future evoluzioni della musica rock attraverso un’inedita fusione di blues, rhythm and blues/soul, hard rock e psichedelia. (da Wikipedia)
«Jimi Hendrix, ovvero la chitarra che fece la storia del rock. Il musicista di Seattle ha completamente e irreversibilmente mutato l’approccio alla chitarra elettrica, per molto tempo lo strumento principe e incontrastato del rock (almeno fino all’avvento del sintetizzatore) e, comunque, quello che più di tutti, fin dagli inizi, ha dato a questo genere quel marchio adrenalinico e un po’ selvaggio, quel quid che lo caratterizza da ogni altra espressione musicale.» (da ondarock.it) La vita di Jimi Hendrix finisce prematuramente e tragicamente il 18 settembre 1970, in un appartamento al Samarkand Hotel di Londra, per un cocktail di alcool e barbiturici a causa del quale muore soffocato da un conato di vomito.
La morte di Hendrix, seguita 16 giorni dopo da quella di Janis Joplin e nove mesi dopo da quella dal leader dei Doors, Jim Morrison, porrà fine a un’era, quella dei “figli dei fiori”, dei movimenti di contestazione e dei raduni rock oceanici.
«Quel pomeriggio del 4 ottobre 1970 Janis Joplin (Port Arthur, 19 gennaio 1943 – Los Angeles, 4 ottobre 1970) non si era presentata in studio di registrazione. Il telefono della sua camera al Landmark Motor Hotel di Los Angeles suonava a vuoto. La sua celebre Porsche dalla verniciatura psichedelica era ancora al suo posto, nel parcheggio. Il compito di cercarla fu affidato a John Byrne Cooke, fotografo e suo road manager: e così fu lui a trovarla morta, a faccia in giù accanto al letto. L’autopsia eseguita dal celebre coroner Thomas Noguchi non lasciò dubbi: a stroncare la vita della più potente icona femminile della storia del rock era stata un’overdose di eroina.
E’ la tragica e prematura fine dell’esistenza intensissima e disperata di una ragazza che ha cambiato per sempre il ruolo e l’immagine della donna nel mondo della musica,un universo a quei tempi dominato da un maschilismo feroce. Janis è stata la prima donna super star rock.» (da ansa.it)
James Douglas Morrison, detto Jim (Melbourne, 8 dicembre 1943 – Parigi, 3 luglio 1971), è stato un cantautore e poeta statunitense. Fu il leader carismatico e frontman della band statunitense The Doors, dal 1965 al 1971.
Jim è stato il primo artista ad essere stato arrestato sul palco. «Il fatto risale al dicembre del 1967, dopo essersi azzuffato con un poliziotto che aveva sorpreso il cantante a fare sesso con una ragazza nel bagno del backstage. Quando salì sul palco, Morrison lo raccontò al microfono e fu subito arrestato per atti osceni in luogo pubblico. Tuttavia l’accusa cadde subito dopo per assenza di prove che lo potessero incastrare. La morte di Jim Morrison è stata una delle più tristi pagine del rock. Il cantante è stato ritrovato a Parigi, senza vita, dentro la sua vasca da bagno. Attacco cardiaco? Overdose? Le cause non sono mai state chiarite. Frank Lisciandro ha poi rivelato come Jim Morrison fosse soggetto ad attacchi d’asma, e che per curarli utilizzava il Marax, un prodotto che in combinazione con l’alcool può diventare letale. E ancora in molti sospettano che questa possa essere una delle cause della morte…» (Lorenzo Martinotti – da notiziemusica.it)
Jean-Michel Basquiat (New York, 22 dicembre 1960 – New York, 12 agosto 1988) è stato un writer e pittore statunitense. È stato uno dei più importanti esponenti del graffitismo americano, riuscendo a portare, insieme a Keith Haring, questo movimento dalle strade metropolitane alle gallerie d’arte. «Nella New York di fine anni Ottanta, a soli 27 anni muore Jean-Michel Basquiat (1960-1988), il primo pittore nero in grado di ottenere apprezzamenti a livello internazionale. Causa del decesso: un’intossicazione da stupefacenti. Il suo lascito è importante: mille dipinti e oltre tremila disegni, realizzati in poco più di un decennio. Artista poco classificabile, Basquiat, forte delle suo origini afro-americane, osserva la società con occhio critico e realizza opere graffianti e primitive, che parlano di identità razziale, violenza, solitudine e disuguaglianza. […]
Andy Warhol e Basquiat si conoscono nel 1982, insieme producono famosi Collaboration painting, vivendo di eccessi, lussi e droghe. Il sodalizio fra i due termina qualche anno dopo, quando il New York Times definisce sprezzantemente Basquiat “la mascotte di Warhol”. Quando Warhol muore nel 1987, Basquiat è sconvolto. L’abuso di droghe, unito all’incapacità di reagire ad una società fagocitante e spietata porterà alla morte anche il giovane artista, deceduto prematuramente il 12 agosto 1988 per una overdose. (Francesca Gentili – da patriaindipendente.it)
«Era il giorno 8 aprile 1994 quando la radio locale di Seattle trasmise le prime, agghiaccianti indiscrezioni circa la tragica fine di uno dei padri del grunge: “Il cantante dei Nirvana, Kurt Cobain, (Aberdeen, 20 febbraio1967 – Seattle, 5 aprile 1994) si è ucciso con un colpo di arma da fuoco nella sua abitazione“, così gracchiò la voce dell’annunciatrice. Una notizia che gettò nella disperazione un’intera schiera di fan, un numero imprecisato di ragazzi che si riconoscevano nei testi amari e privi di speranza del sensibile Kurt.» (da biografieonline.it)
«La fine del decennio patinato di MTV ha preparato il terreno al ritorno del rock come protagonista della scena: dall’hard al metal, dal classic rock al nichilismo grunge, il sacro fuoco del rock torna a infiammare non solo gli appassionati ma anche le grandi folle. Il rock è (di nuovo) mainstream. La fiamma del rock brucia talmente forte, talmente in fretta che c’è anche chi viene travolto e non sopravvive. “It’s better to burn out than to fade away”, cantava Neil Young nella sua canzone dedicata al punk: proprio quelle parole di Hey Hey, My My saranno il biglietto d’addio di Kurt Cobain. Il suo addio prima di spararsi, devastato dall’incapacità di sostenere il successo dei suoi Nirvana e della scena di Seattle. È il 1994 e Kurt Cobain ha appena ventisette anni: i Nirvana hanno pubblicato da poco il terzo disco, dopo aver venduto milioni di copie del loro capolavoro NEVERMIND, uscito nel 1991.» (da “Storia leggendaria della musica rock” di Riccardo Bertoncelli, Gianni Sibilla)
Amy Jade Winehouse (Londra, 14 settembre 1983 – Londra, 23 luglio 2011). «E’ morta guardando se stessa. Amy Winehouse, la grande cantante inglese precocemente scomparsa nel luglio del 2011, passò l’ultima notte della sua vita davanti al computer, come ipnotizzata dai video musicali delle sue canzoni su YouTube. E intanto beveva vodka, così tanta da superare di cinque volte il limite consentito per chi guida, e fu proprio un eccesso di alcol a ucciderla, seconda quanto ha stabilito l’autopsia.
Andrew Morris, che faceva la scorta ad Amy e diceva di avere con lei un rapporto da “fratello e sorella”, ha raccontato al giudice che quella sera lui e la cantante erano soli in casa, nell’abitazione di lei a Londra. L’uomo ordinò una cena da asporto in ristorante indiano del quartiere e Amy andò a mangiarsela da sola nella sua stanza. “Sembrava la stessa di sempre, non si comportava in modo diverso dal solito”, ha detto la guardia del corpo. Ma un particolare avrebbe forse potuto metterlo in allarme: la Winehouse guardava se stessa. Passò la serata con gli occhi sulle immagini dei video delle sue canzoni su YouTube. “Non glielo avevo mai visto fare prima, non era una sua abitudine”, ha ammesso Morris.
Quando al mattino è andato a controllare se lei era sveglia, l’ha vista sul letto e pensava che fosse ancora addormentata. Più tardi, a un secondo controllo, notò che era nella stessa posizione di prima e a questo punto si insospettì: le tastò il polso, non sentì alcun battito e notò varie bottiglie vuote di vodka nella stanza. Ma era troppo tardi per salvarla. Amy aveva sconfitto la sua dipendenza dalla droga, ma pochi giorni prima di morire aveva ricominciato a bere pesantemente.» (Enrico Franceschini – la Repubblica.it)
Lui invece non aveva 27 anni – pochi di più – ma era altrettanto grande, e anche la sua fine è stata tragica. Parliamo di Jeff Buckley, (Anaheim, 17 novembre 1966 – Memphis, 29 maggio 1997). Per concludere la triste lista, ci prenderemo la libertà di “affiliarlo” a posteriori al tragico club. In qualità di socio onorario:
«L’appuntamento è per quella sera stessa, 29 maggio 1997, lo studio è già prenotato per il giorno dopo. Quella passeggiata serale con un amico roadie, Keith Foti, è un modo di scaricare la tensione e trovare la giusta concentrazione. Lo stereo continua a mandare musica degli Zeppelin mentre Jeff, eccitato e meditabondo, scende dalla riva ed entra in acqua senza nemmeno togliersi i vestiti e i pesanti stivali che indossa. Ogni tanto gli capita di farlo, gli piacciono quelle specie di “purificazioni”. Per un po’ cammina, poi si mette a nuotare mentre Foti rimane a riva. D’improvviso le acque sono solcate da un battello. È un attimo. Keith se ne accorge, urla all’amico di stare attento; poi si volta per impedire che lo stereo sia bagnato dalle onde e, quando torna a girarsi, Jeff non c’è più. Lo troveranno cadavere una settimana più tardi, impigliato nei rami di un albero sotto uno dei ponti di Beale Street, la via principale di Memphis.» (da “Storia leggendaria della musica rock” di Riccardo Bertoncelli, con Gianni Sibilla)
Grazie a tutti voi, e che la terra vi sia davvero lieve. Almeno ora.