Via, via, andiamo via, disse l’uccello: gli uomini
non sopportano troppa realtà.
Dalla sequenza Burt Norton dei Quattro quartetti di T. S. Eliot
Tanto per cominciare, facciamo un esempio che ci sembra calzante. Quando si afferma che «esistono alternative al modello di sviluppo, [che] è possibile dirlo per davvero e non perché è una frase fatta; che il lavoro è stato, negli ultimi decenni, umiliato al punto da considerare “inevitabile” un declassamento dei diritti che di inevitabile non aveva proprio nulla» (Michele Serra), la maggior parte di noi preferisce credere non sia vero. Crederci significherebbe infatti ammettere le proprie – grandi o piccole – responsabilità, l’ignavia e il comodo conformismo dietro cui preferiamo nasconderci.
Facciamone subito anche un’altro: «Il cambiamento in atto, che è una conseguenza dell’industrializzazione globale basata sull’uso dei combustibili fossili, è stato innescato dagli esseri umani. Ma questo non significa che gli esseri umani possano fermarlo. Secondo i climatologi, il riscaldamento globale continuerà per centinaia o forse migliaia di anni anche dopo che le sue cause immediate saranno state eliminate. Le richieste avanzate da Extinction rebellion – per esempio ridurre a zero le emissioni di anidride carbonica del Regno Unito entro il 2025 – sono estremamente drastiche. Ma anche se fossero soddisfatte, non influirebbero molto sui gas serra a livello globale, né scongiurerebbero lo stravolgimento del clima che è già insito nel sistema. Gli attuali movimenti ecologisti sono espressioni di un pensiero magico, tentativi di ignorare la realtà o evaderla piuttosto che di capirla e adattarvisi.» (John Gray)
Che siamo d’accordo o meno con John Gray, fatichiamo comunque a condividerne il suo pessimismo radicale. Preferiamo d’istinto posizioni meno claustrofobiche (e responsabilizzanti): «Davanti a una realtà ogni giorno più difficile da negare, gli economisti dovrebbero fare il loro dovere. Dovrebbero riflettere e discutere su come creare sistemi economici diversi da questo capitalismo che non sa fare altro che crescere e danneggiare sempre di più il pianeta che ci sostiene. La maggior parte degli economisti (con poche ma meritorie eccezioni) invece è ancora legata a teorie economiche obsolete concepite nei secoli scorsi, quando la disponibilità delle risorse e dell’energia sembrava illimitata. Per questo continuano a pensare che per risolvere il cambiamento climatico basta che gli ingegneri si inventino qualcosa e che gli ecologisti la smettano di dare fastidio. Ma è sempre più evidente che non esistono invenzioni miracolose, e che in questo momento la società deve rivolgersi agli economisti e dirgli quello che spesso è stato detto a tecnici e a scienziati: signore e signori, per favore, inventate qualcosa!» (Marga Mediavilla)
D’accordo. A condizione però che ognuno faccia la sua parte. Non esiste cambiamento che non parta da sé stessi. «La parola è: socialismo. Va sottolineata per dire che bisogna realizzarne, su questo pianeta disastrato, quanto più è possibile, ce n’è urgenza. È una raccomandazione di Karl Barth, teologo. Si trova in una conferenza del 1911, che avevamo già letto su Linea d’ombra nel 1990 e che dall’anno scorso è un piccolo volume Marietti con il titolo Poveri diavoli. Cristianesimo e socialismo. Sono poche pagine di oltre un secolo fa, ma ancora intense.
Il nocciolo è: il mondo così com’è è uno spettacolo insopportabile; c’è bisogno di
più cristianesimo, di più socialismo; ma non a chiacchiere e non nelle forme in cui finora
cristianesimo e socialismo si sono realizzati. “Il vangelo”, scrive Barth, “ci dice: dovete liberarvi di tutto ciò che inizia con ‘io’ e ‘mio’, dovete liberarvene totalmente per essere liberi per l’impegno sociale. Potranno allora andare insieme Gesù e il capitalismo, cioè il sistema della
proprietà privata che cresce smisuratamente?”. No. La radicalità di Gesù Cristo, per Barth, è il modello di qualsiasi radicalità volta a rifare in meglio il mondo. Non c’è socialismo,
non c’è nemmeno cristianesimo, senza quella radicalità, ma solo realizzazioni grigie, spesso truci. Quindi bisogna essere assai più cristiani, assai più socialisti di quanto si è fatto finora. “Il vero socialismo”, sottolinea il teologo, è il vero cristianesimo dei nostri giorni”.» (Domenico Starnone)
«Dall’inizio della rivoluzione industriale a oggi le attività umane e in particolare l’uso dei combustibili fossili e la deforestazione hanno aumentato la concentrazione media annuale di CO 2 nell’atmosfera dalle 280 parti per milione (ppm) agli attuali 411.7 ppm (luglio 2019). La concentrazione senz’altro più alta degli ultimi 800 mila anni se non, con molta probabilità, degli ultimi 20 milioni di anni. La CO 2 che si accumula nell’atmosfera è la principale responsabile del cosiddetto effetto serra e, quindi, dell’innalzamento della temperatura del pianeta. Dall’innalzamento della temperatura dipendono direttamente la maggior parte dei problemi che affliggono oggi il pianeta. Qualsiasi altra questione, paragonata a questa, non riveste alcuna importanza. (…)»
Quindi, cosa possiamo tentare ancora? Dovremmo coprire di alberi qualunque superficie del pianeta possa accoglierli. Subito. Le piante, attraverso la fotosintesi, assorbono la CO 2 dall’atmosfera. In quantità opportune possono riportare il livello di questo gas a livelli non pericolosi. È l’unica reale possibilità. Ma prima è necessario bloccare ogni ulteriore deforestazione. Il taglio delle foreste non è compatibile con la nostra sopravvivenza come specie. Dobbiamo iniziare a difendere le poche residue grandi foreste del pianeta con tutti i mezzi. La difesa delle foreste dovrebbe diventare argomento prioritario di trattati internazionali che vincolino il maggior numero di stati — soprattutto quelli all’interno del cui territorio si trovano le principali riserve verdi del pianeta — alla totale intangibilità delle stesse.
Dalla residua funzionalità di questi ecosistemi, lo ripeto, dipende la nostra stessa possibilità di sopravvivenza. Senza una sufficiente quantità di foreste, non esiste alcuna reale possibilità di poter invertire il trend di crescita della CO 2. Per questo ritengo che la deforestazione dovrebbe essere trattata come un crimine contro l’umanità, e punita di conseguenza. Perché è di questo che si tratta. Chiunque, da qualunque parte del pianeta continui a tagliare le foreste rappresenta un pericolo per l’intera umanità. (Stefano Mancuso)
È una proposta. Funzionerà (funzionerebbe)? Ce lo auguriamo. Occorre aggiungere altro? La realtà è questa. Non ha senso confidare nella speranza qualcun altro provveda a risolvere il più grave (e meno affrontato) problema dei nostri tempi. Stiamo tutti segando il ramo su cui siamo seduti. Prendiamone atto e facciamo finalmente e per davvero TUTTI qualcosa!