Rumore, fa’ silenzio!

«Una delle funzioni recenti dei media italiani, ormai fondamentale per il loro modello economico, è quella di amplificazione delle discussioni sui social network e in TV. Più simili discussioni saranno aleatorie, marginali e volgari più saranno per i media professionali allettanti. Al contempo più simili discussioni avranno simili caratteristiche e maggiormente saranno lontane da una idea “sana” di notizia. I media professionali si sono così velocemente trasformati in amplificatori di stronzate e lo hanno fatto per calcolo.

Se questo è vero nel bilancio complessivo che loro stessi propongono alla clientela, alla quale quotidianamente si chiede di partecipare al sostentamento economico dell’informazione in quanto presidio delle democrazia, del pluralismo e blablabla, andrebbe anche specificato che tale modello prevede contemporaneamente anche la quotidiana sottolineatura del bodyshaming, della violenza verbale e per immagini, dell’insulto, della stupidaggine irrilevante. Alla proposta economica manca insomma una parte consistente, quella che specifichi come nel pacchetto a pagamento del presidio democratico siano presenti anche un numero corposo e incrementali di stupidaggini utili a coltivare i peggiori istinti della clientela». (di Massimo Mantellini – da manteblog)

E dire che non sarebbe obbligatorio. Dal pettegolezzo, dal gossip, dalla mondanità apparentemente superficiale si possono ottenere risultati molto diversi. «Oh, questi Greci! Loro sì sapevano vivere; per vivere occorre arrestarsi animosamente alla superficie, all’increspatura, alla scorza, adorare l’apparenza, credere a forme, suoni, parole, all’intero olimpo dell’apparenza. Questi Greci erano superficiali per profondità», ha scritto Nietzsche. Dipende tutto da noi. Facciamo un esempio.

Bobi Bazlen, un intellettuale triestino, il 25 settembre del 1928 invia all’amico Eugenio Montale un biglietto di poche parole su comuni amici: «Gerti e Carlo: bene. A Trieste, loro ospite, un’amica di Gerti, con delle gambe meravigliose. Falle una poesia. Si chiama Dora Markus». Allega al biglietto una foto, un’istantanea in bianco e nero di 7,5 cm x 5,2 cm, scattata da Gertrude Frankl Tolazzi (la Gerti del biglietto). È la foto delle gambe di Dora Markus.  Montale non ha mai conosciuto Dora Markus, ha solo ricevuto quella foto di due gambe oggettivamente belle, che dal ginocchio in un giù sporgono da una elegante gonna plissé, né troppo lunga né troppo corta.

“Sento dire: «Gambe per una poesia». Non so se guardare. Guardo. C’è una sola fotografia al centro del cartoncino. Lo sfondo è indefinito, l’inquadratura dalla vita in giú. Dalla gonna plissettata escono due gambe in calze bianche, e finiscono in un paio di scarpe egualmente bianche, a mezzo tacco. È un’immagine quasi perfettamente astratta. Le gambe sono lunghe e molto belle, come ricalcate dalle calze. Leggo sotto la foto. C’è scritto «Dora Markus». Nella pagina dopo, seduta e incappottata in un caffè, c’è una donna tutta intera, col viso segnato, vecchio. Lei dice: «Tutti facevano attenzione solo alla metà piú bella».” (da Lo stadio di Wimbledon, di Daniele Del Giudice – Einaudi, 1983)

È nata così, Dora Markus di Eugenio Montale; una delle poesie più belle che siano mai state scritte, dalla foto delle gambe di una donna sconosciuta. «Però sappiate che la ricezione della poesia è sempre il dialogo silenzioso e spesso solitario con le parole scritte. […] la ricezione autentica accade nel silenzio e nella solitudine…» (Alberto Bertoni, da Poesia italiana dal Novecento a oggi).

Esattamente. Tutto il resto è rumore.

Dora Markus è letta da Enrico Papa – “Rumore, fa’ silenzio!” è il titolo di una poesia di Valerio Magrelli.

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