Rumore vuoto

UNO. «La prima domanda è: ma perché l’hanno invitata all’Isola dei famosi? La seconda: la brama di notorietà fa solo danni? Daniela Martani, ex hostess dell’Alitalia, di professione reduce (ex pasionaria, ex Grande Fratello, ex La Fattoria, ex altre comparsate), ora potrebbe diventare una ex NoVax, con una conversione da far impallidire Paolo sulla via di Damasco.

Martani è una militante vegana ma negli ultimi tempi si è messa in mostra per deliranti dichiarazioni sulle linee dei No-Vax e No-Mask. La scorsa estate ha fatto ritardare la partenza di un traghetto per essersi rifiutata di indossare la mascherina all’imbarco. La nostra negazionista, però, per partecipare all’Isola dovrà sottoporsi a ben cinque vaccini e a un tampone molecolare. Prevarrà la fame (il compenso) o la fama? Non importa, ciò che conta è che Martani si vaccini.

Per una volta tifiamo per l’esposizione, per la visibilità. Potrebbe essere una buona soluzione anche per gli operatori sanitari No-Vax, alcuni dei quali, rifiutatisi di sottoporsi al vaccino, avrebbero infettato degli ospiti delle strutture imolesi dove lavoravano. Un’apparizione in uno show di successo in cambio della vaccinazione. Se cede la Martani può cedere chiunque, sulla via virtuosa della campagna vaccinale. Tanto la spudoratezza è il miglior modo di cavarsi da ogni impaccio.» (Aldo Grasso – Corriere della Sera, 7 marzo 2021)

DUE. «Guardando questo paesaggio, e questo nulla, ho capito che nel presente non c’è niente che meriti di essere raccontato. Il presente è rumore: milioni, miliardi di voci che gridano, tutte insieme in tutte le lingue e cercando di sopraffarsi l’una con l’altra, la parola “io”. Io, io, io… Per cercare le chiavi del presente, e per capirlo, bisogna uscire dal rumore: andare in fondo alla notte, o in fondo al nulla…» (Sebastiano Vassalli: premessa (Il nulla) a La chimera – BUR, 2014)

Vassalli ha pubblicato La chimera nel 1990. Il suo romanzo nell’anno stesso vinse il Premio Strega, il Premio Napoli e fu finalista al Premio Campiello. E pensare che non era ancora nemmeno nato il WEB: «La cabala volle che tutto cominciasse il 6 agosto 1991, anniversario di Hiroshima. Come se in quella ricorrenza fosse inscritto un presagio. Quel giorno, nasceva il World Wide Web: www. L’informatico inglese Tim Berners Lee, dopo due anni di studi al Cern di Ginevra, carica su internet – rete allora già esistente che consente di scambiare dati tra computer interconnessi fra loro – la prima pagina ipertestuale basata su protocollo Html. Passeranno pochi anni e quel vagito si trasformerà in ruggito.» (Carlo Bonini)

Un ruggito molto rumoroso, anche se molto spesso vuoto di senso. Comunque sia, il suggerimento di Vassalli non ha avuto molto seguito. Eppure egli non è stato certo l’unico – né sarà l’ultimo – che nei secoli dei secoli hanno consigliato e consiglieranno saggezza e moderazione in proposito.

TRE. Per fare qualche esempio non irrilevante: Gorgia da Lentini (483 – 375 a.c., nemmeno lui conosceva il WEB…): «Il più grande interprete della retorica antica, il maestro per eccellenza […] a lui sono legate tre proposizioni. Lo dico tra parentesi, ma perché sono di straordinario interesse. La prima è: “Nulla esiste”. La seconda è: “Se anche esistesse, non sarebbe conoscibile”. La terza è: “Se anche fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile.” E in queste tre frasi è condensata anche l’evoluzione ulteriore del pensiero intorno ai punti del nichilismo, del conoscere e del comunicare.» (Giuseppe Pontiggia, Dentro la sera. Conversazioni sullo scrivere – Belleville Editore, 2016)

In un passato più prossimo, Hugo Von Hoffmannsthal (1874 – 1929): «… la lingua in cui forse mi potrebbe essere concesso non solo di scrivere, ma anche di pensare, mi sembra essere non la latina, non l’inglese, non l’italiana e neppure la spagnola, quanto piuttosto una lingua delle cui parole neanche una mi è ancora nota, una lingua in cui le cose mute mi si manifestano, e  nella quale forse un giorno mi troverò a rispondere nella tomba dinanzi ad un giudice sconosciuto…» (Lettera di Lord Chandos, 1902)

Anche Ludwig Wittgenstein (1889 – 1951) aveva un’opinione abbastanza precisa: «Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere». « L’aforisma vide la luce nel 1921, esattamente un secolo fa, come frase conclusiva della più importante  e influente opera filosofica del Novecento, intitolata in tedesco Trattato logico-filosofico, ma oggi nota con il titolo dell’edizione inglese uscita l’anno dopo: Tractatus Logicus-Philosophicus. […] Oggi guardiamo a quel periodo, molto simile al nostro, come al tempo della dissoluzione dei valori: detto altrimenti, di tutte le parole metafisiche che di solito vengono pomposamente scritte con la maiuscola, come Dio, Verità, Giustizia, Bontà, Bellezza, eccetera. […]

L’aforisma conclusivo del Trattato significava dunque che bisognava accettare volontariamente l’inevitabile, evitando di parlare a vanvera di tutte le cose che il linguaggio non può comunicare. Per non lasciare dubbi al lettore, qualche riga prima dell’ultima Wittgenstein specificò prosaicamente ciò che l’aforisma riassumeva poeticamente: “Il metodo corretto della filosofia sarebbe di dire soltanto ciò che può essere detto: dunque, solo proposizioni scientifiche, che non hanno nulla a che vedere con la filosofia. E ogni volta che qualcuno volesse fare della metafisica, bisognerebbe fargli notare che ha detto delle cose senza senso.» (Piergiorgio OdifreddiDomani, 21 febbrario 2021)

Per non parlare di James Joyce (1882 – 1941): «Quel che distingue Joyce, si potrebbe dire, è l’incapacità di arrestarsi a una visione particolare e personale delle cose; ogni giudizio gli appare inadeguato, solo lo può soddisfare una rappresentazione che innalzi l’oggetto a un rapporto cosmico col resto del mondo, che lo faccia sentire come un frammento, frammento significante, ma frammento, che viene in primo piano per un momento, ma senza mai pretendere a una importanza assoluta. Di qui nasce l’umorismo, che si stende su una gamma: partendo dalla semplice affermazione di fatto sino alle più enormi amplificazioni fantastiche e verbali, che si riscontrano nell’Ulisse e che hanno fatto spesso rievocare il nome di Rabelais.

A questo senso dell’umorismo senza dubbio si riattacca quel certo qual senso di insufficienza dell’espressione diretta e personale, di insoddisfazione e sproporzione che essa dà quando sia messa in rapporto col tutto, e dunque di involontaria comicità, e che ha fatto propendere Joyce verso una espressione oggettiva, ottenuta sia col cercare uno stile della massima impersonalità e fusione con la cosa rappresentata, sia addirittura, specie in certi episodi dell’Ulisse, con l’adottare stili e toni diversi, da quello di scrittori passati a quello idealmente attribuibile ai vari personaggi.» (Alberto Rossi – prefazione a James Joyce: Dedalus. Ritratto dell’artista da giovane – Adelphi, 1976)

QUATTRO. Riassumendo quindi i disattesi suggerimenti di Joyce, che aspirava utopisticamente a: un soggetto ideale incapace di arrestarsi a una visione particolare e personale delle cose;  che si senta inadeguato a ogni giudizio; soddisfatto di una rappresentazione che innalzi l’oggetto a un rapporto cosmico col resto del mondo; che si senta un frammento, frammento significante, ma frammento, che mai pretenda una importanza assoluta; un soggetto con un senso dell’umorismo che si riattacchi a quel certo senso di insufficienza dell’espressione diretta e personale, di insoddisfazione e sproporzione che essa dà quando sia messa in rapporto col tutto, e dunque di involontaria comicità.

Esiste forse un soggetto più lontano a quello che concretamente siamo oggi? Pare proprio di no: la verità è che, al contrario, ci prendiamo tutti troppo sul serio valutandoci il centro dell’universo; che parliamo troppo e tutti insieme; e che, impegnati tutti a far rumore, ascoltiamo tutti troppo poco il nostro prossimo. O addirittura – nonostante i nostri smartphone, i social e tutto il WEB – forse non ascoltiamo mai nessuno per davvero. Forse è vero: il vuoto determinato dal virus del narcisismo è la malattia dell’epoca.

Nell’immagine in testata: Edward Hopper – Nottambuli (1942) – Il brano Iperconnessi di Le luci della centrale elettrica è contenuto nell’album Terra (2017)

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