Seguire la corrente

 

C’è la famosa barzelletta: «Un automobilista sta ascoltando il giornale radio che viene interrotto per una comunicazione urgente: “Attenzione, attenzione … a tutti gli automobilisti … un pazzo ha imboccato l’autostrada del Sole contromano!!!”
Appena ascoltato il messaggio, l’uomo esclama schivando le macchine:
“Per fortuna che doveva essere solo uno … qua saranno un centinaio!!“»

Questa barzelletta viene spesso citata per avvisarci che quando ci sembra che tutti gli altri vadano contromano (poiché pensiamo quasi sempre di essere più intelligenti degli altri), forse sarebbe saggio domandarsi se non siamo proprio noi, invece, ad essere sulla corsia sbagliata. L’osservazione è più che giusta, ma al tempo stesso nasconde un grande pericolo. Il pericolo esattamente opposto: quello di seguire acriticamente il flusso di coloro che ci circondano; di non porsi mai domande sulle più importanti questioni di fondo, darle per scontate. Come ampiamente dimostrato dalla storia, infatti, avere la stessa opinione della maggioranza delle persone (o del proprio ambiente professionale o familiare) non dimostra – di per sé – assolutamente nulla. Anzi, spesso è molto rischioso: così fan tutti, ok, ma vengono comunque rispettati la giustizia e i diritti di tutti, in particolare dei più deboli e delle minoranze? Insomma, per quale motivo in genere seguiamo la corrente del momento e non ci pensiamo più?

È la fondamentale domanda che si pone Géraldine Schwarz all’inizio del suo I senza memoria: «Non ero predestinata in modo particolare a interessarmi dei nazisti. I genitori di mio padre non erano stati né dalla parte delle vittime né da quella dei carnefici. Non si erano segnalati per atti di coraggio, ma non avevano neanche peccato per eccesso di zelo. Erano semplicemente Mitläufer, persone «che seguono la corrente», conformisti, gregari. Semplicemente: nel senso che che il loro atteggiamento era stato quello della maggioranza del popolo tedesco, un accumulo di piccole cecità e piccole viltà che, messe l’una accanto all’altra, avevano creato le condizioni necessarie al compiersi di uno dei peggiori  crimini di Stato organizzati che l’umanità abbia conosciuto. Dopo la disfatta, e per lunghi anni, ai miei nonni come alla maggior parte dei tedeschi mancò il distacco necessario per rendersi conto che senza la partecipazione dei Mitläufer, anche minima a livello individuale, Adolf Hitler non avrebbe potuto commettere crimini di una tale portata.    (…)

Ma all’indomani della guerra in Germania nessuno o quasi si chiedeva che cosa sarebbe accaduto se la maggioranza, invece di seguire la corrente, avesse contrastato una politica che aveva rivelato abbastanza presto l’intenzione di calpestare la dignità umana come si schiaccia uno scarafaggio. Seguire la corrente, come nel caso di Opa, mio nonno paterno, era stato un atteggiamento talmente diffuso da far diventare la banalità una circostanza attenuante di quel male, anche agli occhi delle forze alleate che si erano messe in testa di denazificare la Germania.

Dopo la vittoria, americani, francesi, britannici e sovietici avevano suddiviso il paese e Berlino in quattro zone di occupazione, dove ognuno dei vincitori si era impegnato a epurare la società degli elementi nazisti, con la collaborazione di camere arbitrali tedesche. Avevano fissato quattro gradi di coinvolgimento nei crimini nazisti, tre dei quali giustificavano in teoria l’apertura di una inchiesta giudiziaria: grandi colpevoli (Hauptschuldige), colpevoli di crimini gravi (Belastete), colpevoli di crimini più lievi (Minderbelastete) e Mitläufer. Secondo la definizione ufficiale, quest’ultimo termine designava «chi ha partecipato solo nominalmente al nazionalsocialismo», in particolare «gli iscritti al Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori (NSDAP) […] che si limitavano a pagare le quote e a presenziare alle riunioni obbligatorie […]». In realtà nel Reich, che nel 1937 contava sessantanove milioni di abitanti entro le sue frontiere, i Mitläufer erano molto più numerosi degli otto milioni di iscritti  alla NSDAP.» (Géraldine Schwarz, I senza memoria. Storia di una famiglia europea. Einaudi, 2019)

«”Faceva un cenno di saluto quando gli altri facevano un cenno di saluto, gridava, rideva e batteva le mani quando gli altri gridavano, ridevano e battevano le mani”. Così Gunter Grass nel Tamburo di latta descriveva il personaggio di Alfred Matzerath. Un tipo umano, quello conformista, che in lingua tedesca è rappresentato con una sola precisa parola: mitläufer, “uno che segue la folla”.

La rappresentazione di questa categoria umana è una costante nella letteratura tedesca. Era un Mitläufer il carcerario Rocco nel Fidelio di Beethoven, lo era il protagonista de Il Suddito di Thomas Mann, lo è ricorrentemente nella letteratura di Grass. “Anche quando fanno discorsi sulla libertà i tedeschi in segreto amano essere in catene” scriveva Heinrich Heine.

La storia tedesca, poi, fornisce tanti esempi di come “colui che segue la folla” sia stato il protagonista di intere stagioni politiche che hanno segnato profondamente e irrimediabilmente la percezione che il popolo germanico ha di se stesso. Tutte le stesse persone (o quasi) che attivamente aderirono al nazionalsocialismo in un primo momento dopo il 1945 abbracciarono il comunismo della Ddr da una parte – regime imposto sì con la forza ma anche accettato e interiorizzato – e il liberalismo capitalista dall’altra – anche questo un tipo di società esportato con la guerra ma che è stato in grado di sedurre gran parte delle masse attraverso il suo accattivante stile di vita.» (Luca Steinmann – Huffpost)

Con le dovute eccezioni: «Una vecchia e bella foto degli anni Trenta è tornata a circolare molto online dopo che “Historical Pics”, un account molto seguito su Twitter che diffonde tweet con fotografie d’epoca, l’ha pubblicata mercoledì sera. L’immagine mostra una folla che fa il saluto nazista con in mezzo un unico uomo a braccia incrociate. La storia è piuttosto nota e la foto è esposta al centro di documentazione “Topography of Terror”  che si trova nella vecchia sede della Gestapo, a Berlino. La fotografia venne scattata nel 1936 in occasione del varo di una nave al porto di Amburgo, alla presenza di Adolf Hitler. L’uomo che si distingue nella folla si chiama August Landmesser.

August Landmesser, che all’epoca aveva 25 anni, era un operaio del cantiere navale di Amburgo: l’anno prima, nel 1935, aveva sposato Irma Eckler, una giovane ebrea di 22 anni da cui ebbe due figlie. Le leggi razziali entrate in vigore nel 1935 impedirono di riconoscere il loro matrimonio all’ufficio del registro del comune di Amburgo: August venne escluso dal partito nazista, al quale si era iscritto nel 1931, e poi fu arrestato con la moglie nel 1938 per aver «disonorato la razza». Condannati entrambi ai lavori forzati, lui venne liberato nel 1941 e poi, nonostante i suoi precedenti, inviato al fronte; lei morì prigioniera nel 1942. Le figlie vennero inviate in un orfanotrofio e successivamente affidate a dei parenti.

Nel 1991 una di loro riconobbe il padre in questa foto, ripresa dal quotidiano tedesco Die Zeit. Cominciò a documentarsi e raccogliere fonti e dati, e nel 1996 pubblicò un libro con la storia della sua famiglia. August Landmesser non fu l’unico a rifiutare pubblicamente di rendere omaggio a Hitler: ci fu ad esempio il campione di ciclismo tedesco Albert Richter che nel dicembre del 1939 dopo aver vinto una corsa alla Deuschtlandhalle di Berlino, si rifiutò di fare il saluto nazista.» (da il Post.it)

Andare controcorrente, dubitare della maggioranza può essere davvero molto pericoloso. Ma non importa insistere. Noi italiani ne siamo sempre stati anche troppo consapevoli. Del resto, come disse Ezra PoundSe un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, o non vale niente lui.” Quando non addirittura tutti e due. Ma la condanna più dura e giusta dei Mitläufer la scrive Géraldine Schwarz a pagina 11 del suo libro: «I sovietici lasciarono in pace i Mitläufer anche perché  avevano riconosciuto la potenzialità di riciclarli come buoni comunisti.» Paura? Opportunismo? Cecità? Indifferenza? Comunque banderuole al vento.

In testata: Il pifferaio magico di Maxfield Parrish – Il brano Il conformista di Giorgio Gaber è contenuto nell’album La mia generazione ha perso (Testi e musiche di G. Gaber & A. Luporini.), 2001.

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