Sembrare o essere?

A settembre sono partiti i lavori per riaprire entro il prossimo Natale il negozio “ex Gavina”, progettato e costruito a Bologna in pieno centro storico da Carlo Scarpa nel 1961; è sicuramente una buona notizia per tutti gli amanti dell’architettura contemporanea. Come scrive l’architetto Pantaleoni, «fa anche riflettere, però, che il negozio sia ora stato vincolato dalla Soprintendenza, mentre probabilmente all’epoca della sua costruzione fu decisamente osteggiato. Ci si ricorda infatti che “la sua realizzazione si deve all’intervento a gamba tesa di Giuseppe Campos Venuti (nel 1961 assessore all’Urbanistica) contro la Commissione edilizia” […]. Oggi non sarebbe possibile proporre una facciata come quella di Scarpa in via Altabella: troppi vincoli, troppe regole, ma soprattutto una diffusa mentalità fortemente conservatrice rispetto alle possibilità di intervenire con architetture contemporanee nel centro storico. […]

Inoltre non esiste più alcun Campos Venuti che voglia imporre la sua decisione alla commissione edilizia, non potendo nemmeno Dio in persona imporre nulla alla Soprintendenza. Godiamoci quindi la facciata del negozio Gavina, che in molti considerano invece uno scempio: non c’è nemmeno il rischio che fra 70 anni qualche altro gesto coraggioso e avulso dal panorama urbano tradizionale possa venire invece rivalutato e considerato di valore, perché il conformismo progettuale imposto per legge (l’ultimo decreto definito con feroce sadismo “semplificazione” né è la dimostrazione), non consentirà mai più sperimentazioni, gesti dirompenti, proposte innovative come quello di Scarpa, ma solo la perenne riproposizione di catalogo di finta storia, tutta uguale, e tutta ugualmente falsa.».

Il 19 ottobre appena trascorso «È morto a 88 anni anni all’ospedale San Raffaele di Milano dove era ricoverato Enzo Mari, tra i più grandi designer italiani del Novecento. “Ciao Enzo. Te ne vai da Gigante”, ha scritto Stefano Boeri, Presidente di Triennale Milano, questa mattina sul suo profilo Facebook. La sua carriera si è contraddistinta oltre che per le sue creazioni – tra gli oggetti da lui progettati e più noti sono il vassoio Putrella (prodotto da Danese); le sedie Soft Soft (Driade) e Delfina (Rexite), quest’ultima premiata nel 1979 con il Compasso d’Oro; il cestino gettacarte In attesa e il calendario a parete Formosa (Danese); la sedia Tonietta (Zanotta); le pentole Copernico e le posate Piuma (Zani&Zani); lo spremilimoni Squeezer (Alessi) e, tra i più recenti, il portaombrelli Eretteo e l’appendiabiti Togo (Magis) – anche per la sua attività di teorico: fin dagli anni Cinquanta partecipa attivamente ai movimenti di avanguardia, approfondendo riflessioni e dando vita a una personalissima teoria-filosofia del design con lo scopo di indagarne dall’interno le dinamiche formali, estetiche, funzionali e processuali.» (Desirée Maida – da artribune.com)

Enzo Mari, da artista, riconosce l’equazione fra etica ed estetica: «posso dire di essere stato molto fortunato. Lavorando, ho inseguito per tutta la vita il sogno della mia ingenuità: realizzare la bellezza». I suoi richiami a una progettazione in cui «gli oggetti non devono piacere a tutti, ma devono servire a tutti» «Ignorate le ricerche di mercato. Se si riesce a trovare una risposta corretta alle proprie necessità, è probabile che sarà anche la più corretta per gli altri». Socraticamente afferma: «Una  forma è buona se è . È cattiva se sembra». E vede dominare un falò delle vanità in cui tutto è immolato al dio dell’apparenza. La colpa? Del mercato globale, che chiede continuamente nuovi oggetti; delle aziende, colpevoli di aver rinunciato al ruolo di avanguardie; dei designer, che preferiscono adeguarsi e inventare forme strane, o rifare quelle note, quando il grande lavoro sarebbe migliorare ciò che già esiste. (Aurelio Magistà – la Repubblica, ottobre 20 ottobre 2020)

Dovete ignorare le ricerche di mercato, diceva Enzo Mari. Significa: onorate il vostro talento, perché «quello che va bene per voi, andrà bene anche per gli altri». Basterebbero queste parole per farne un rivoluzionario di quelli veri. Fate conto che le ricerche di mercato, nella nostra epoca, sono come i dogmi di Santa Romana Chiesa all’epoca di Bellarmino. Sono l’ortodossia. Sono la via obbligata. Non c’è mossa produttiva che non prenda l’abbrivio dalle ricerche di mercato. Questo significa: devi fare quello gli altri si aspettano da te. Devi produrre quello che gli altri già desiderano. Devi lavorare, pensare, agire, come se tutto fosse già previsto. I famosi “gusti della gente” sono il padrone incontrastato del mondo. Ben prima che i social costringessero miliardi di persone a pensare che è obbligatorio piacere agli altri, il marketing spiegava come si fa, a piacere agli altri.

Per fortuna, non funziona così. I gusti della gente sono un mistero. Piacere agli altri è un mistero. È un mistero il successo, è un mistero la comunicazione. Parli e non sai chi ti ascolta, dunque tanto vale parlare come se nessuno ti ascoltasse. Se qualcuno ti dice prima che cosa è buono, che cosa è utile, e tu gli dai retta, hai già rinunciato alla tua libertà espressiva. Certo bisogna essere bravi e coraggiosi, per confidare nel proprio talento più che nei presunti “gusti degli altri”. Ma i bravi e i coraggiosi esistono, ci sono, ed è a loro che affidiamo le nostre speranze di un futuro che sia diverso dal presente. Grazie a quelli come Enzo Mari. (Michele Serra)

Giorgio Agamben diceva in un suo illuminante e aforistico saggio dal titolo Cos’è il contemporaneo? (edizioni Nottetempo, 2007) che contemporaneo non è chi vede le luci del suo tempo, ma chi riesce a percepirne l’oscurità. Bellissima definizione.

Ma Charles Baudelaire ha scritto che: «Il bello è sempre, inevitabilmente, di una composizione duplice, anche se unica è l’impressione che produce; in quanto la difficoltà di distinguere gli elementi variabili nell’unità dell’impressione non intacca minimamente la necessità della varietà nella sua composizione. Il bello è fatto di un elemento eterno, invariabile, la cui quantità è oltremodo difficile da determinare, e di un elemento relativo, occasionale, che sarà, se si preferisce, volta a volta o contemporaneamente, l’epoca, la moda, la morale, la passione. Senza questo secondo elemento, che è come l’involucro dilettoso, pruriginoso, stimolante, del dolce divino, il primo elemento sarebbe indigeribile, non degustabile, inadatto e improprio alla natura umana. Sfido chiunque a scovarmi un esemplare qualsiasi di bellezza dove non siano contenuti i due elementi. […] La dualità dell’arte è una conseguenza fatale della dualità dell’uomo. Se si crede, si può benissimo considerare la sussistenza eterna come l’anima dell’arte, e l’elemento variabile come il suo corpo. […]

È molto più comodo proclamare che tutto è assolutamente brutto nel vestiario di un’epoca, che non provarsi a estrarne la bellezza misteriosa che può esservi racchiusa, per quanto possa  essere minima o lieve. La modernità è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell’arte, di cui l’altra metà è l’eterno e l’immutabile. Vi è stata una modernità per ogni pittore antico […] questo elemento transitorio, fuggitivo, dalle metamorfosi così frequenti, nessuno ha il diritto di disprezzare e di trascurare. Quando lo si sopprime, si cade per forza nel vuoto di una bellezza astratta e indefinibile, quale fu quella della primadonna vivente prima del peccato originale. Se al costume dell’epoca, che s’impone per un rapporto necessario, se ne vuole sostituire un altro, si produce un controsenso che non trova giustificazione, se non nel caso di una mascherata voluta dalla moda. (da Il pittore della vita moderna. In Charles Baudelaire, Opere – I meridiani – Arnoldo Mondadori editore, 2002)

Le temute stroncature di Enzo Mari non hanno risparmiato nessuno: Il design di oggi? «È nudo, benché la sua corte affermi il contrario ». I progettisti? «Polli da allevamento». Le imprese? «Terzisti di lusso». Le scuole? «In gran parte un assurdo chiacchiericcio ». Il Salone del mobile? «Quando ci vado mi fa venire prima l’orticaria, poi la voglia di cambiare mestiere». I suoi richiami a una progettazione in cui «gli oggetti non devono piacere a tutti, ma devono servire a tutti» restano un punto di riferimento per il mondo del design, ma la furia iconoclasta con cui venivano lanciati amareggiava prima di tutto lui stesso, e il silenzio creativo cui si era progressivamente autocondannato appare come estrema, coerente conseguenza del suo pensiero teorico.

Possiamo dargli torto? Concordiamo senz’altro con la teoria di Baudelaire; purtroppo però nella dualità dell’arte della nostra epoca (come scrive il grande poeta: conseguenza fatale della dualità dell’uomo) i gusti e i comportamenti sembrano determinati molto ma molto più dall’obbligo di piacere agli altri,  piuttosto che dall’esprimere l’elemento variabile, il corpo occasionale, relativo dell’arte e dello spirito dei nostri tempi. Il quale corpo tuttavia – anche se in larga parte misconosciuto e ostacolato; anche se è in minoranza rispetto ai tanti conservatori e conformisti; anche se non gode di alcuna rendita di posizione; se spesso non è quello che “gli altri si aspettano”, quello che desiderano; nonostante tutti gli ostacoli che esso deve affrontare; insomma nonostante tutto – questo elemento variabile e oscuro della contemporaneità, anche se non incontra tutti “i gusti della gente”, deve pur continuare a esistere. Nostro dovere è ricercarlo.

In testata: il negozio “ex Gavina” di via Altabella a Bologna – seguono: Puzzle in legno 16 Animali di Enzo Mari – Il cestino per la carta In Attesa di Enzo Mari (Danese Milano) – Charles Baudelaire – Le facciate della Strada Novissima alle Corderie dell’Arsenale, Biennale dell’architettura di Venezia (La presenza del passato),1980 –  Nel video finale: Gustav Mahler – Adagietto. Sehr langsam. Symphony No. 5 in C sharp minor, 1901-02. Wiener Philharmoniker, Vienna Philharmonic Orchestra, Leonard Bernstein.

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