Soffioni e orchidee

        “C’è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che entra la luce.” (Leonard Cohen – Anthem)

TEORIA DELL’ORCHIDEA:  è il termine coniato dal giornalista scientifico David Dobbs qualche tempo fa ispirandosi al lavoro di Bruce Ellis e W. Thomas Boyce sulla “sensibilità biologica al contesto” o “teoria della suscettibilità differenziale”. Ellis e Boyce sono specialisti dello sviluppo umano; nel 1995 avevano suggerito «che alcuni bambini sono come i soffioni mentre altri sono come le orchidee. I soffioni, le erbacce innocue che crescono ovunque, riescono a sentirsi a casa in qualsiasi terreno e clima, dai marciapiedi alle discariche, dai pendii montuosi alle foreste bruciate. Le orchidee invece no. Se portate fuori dalle foreste pluviali, muoiono. Ma, se piantate nel giusto terreno e accudite in modo adeguato, regalano qualcosa di una bellezza indescrivibile. Nel corso dei secoli il loro richiamo è stato così irresistibile da alimentare quell’ossessione che i collezionisti chiamano orchidelirium, con persone che sono morte o hanno sperperato miliardi di dollari per le specie più rare.

Proprio come i soffioni, alcuni bambini crescono bene a prescindere dalle circostanze in cui si trovano. Nello studio di Bakermans-Kranenburg i bambini che non avevano una variante del gene DrD4 non erano toccati dalla qualità dell’educazione ricevuta. Cambiava poco se erano cresciuti da madri amorevoli o da madri anafettive: i geni favorevoli
sembravano proteggerli dagli aspetti negativi dell’ambiente. Potremmo definire questi bambini normali o ben inseriti. Ma, in base alla teoria dell’orchidea, non è del tutto corretto. I bambini soffione sono semplicemente più impermeabili, più insensibili e indifferenti all’ambiente di appartenenza, non solo ai suoi effetti negativi ma anche a quelli positivi.

I bambini orchidea, invece, sono sensibili a entrambi gli aspetti. rispondono con intensità ai contesti favorevoli e a quelli ostili, soffrendo di più gli ultimi ma anche sfruttando al meglio i primi. La loro, sostiene Dobbs, non è vulnerabilità all’esperienza negativa ma una forte sensibilità a esperienze di ogni tipo. Mentre i soffioni sono robusti, le orchidee sono
malleabili. Se i soffioni resistono all’influenza del mondo esterno, le orchidee cedono. I loro geni, in questo senso, non sono vulnerabili ma estremamente plastici perché rispondono all’ambiente amplificandone gli effetti “nel bene e nel male”, come piace dire a Belsky.

JAY BALSKY,  psicologo dello sviluppo alla University of California a Davis, scoprì un curioso
schema ricorrente (…) stava studiando l’interazione tra geni e ambiente quando si rese conto che, in molti casi, le persone che rischiavano di sviluppare un disturbo mentale andavano incontro sia agli esiti peggiori sia a quelli migliori. Altri ricercatori rilevarono la stessa peculiarità nei loro studi su genetica, psicologia della personalità e sviluppo del
bambino. Da allora si sono moltiplicate le prove dei vantaggi portati dai geni della vulnerabilità. Secondo i dati, i geni che ci espongono al rischio di una malattia mentale potrebbero essere gli stessi che ci rendono più sani, flessibili e di successo, sia come individui sia come specie. La ricerca, per quanto sia ancora a uno stadio iniziale, prospetta l’allettante possibilità che, tutto sommato, Leonard Cohen avesse ragione: a volte le crepe dentro di noi sono anche il punto da cui entra la luce.

Oltre a svelare il lato positivo della vulnerabilità, la teoria dell’orchidea mette in discussione la nostra idea di normalità, di salute mentale. Ecco un paradosso sui geni “difettosi” che la scienza fatica a spiegare: se queste mutazioni genetiche mettono a rischio gli individui, come hanno fatto a sopravvivere all’evoluzione? Perché, come si chiedono Belsky e il collega Michael Pluess in un recente articolo, “la selezione naturale dovrebbe plasmare un organismo per rispondere alle avversità con il disordine e la sregolatezza?”.

Riflettendo su questa domanda, Belsky è arrivato all’ipotesi che la nostra diversità genetica – la combinazione tra geni orchidea e geni soffione – non sia un ostacolo evolutivo ma un’ingegnosa strategia messa in atto dalla natura. Invece d’interferire con il normale sviluppo, spiega Belsky, i geni orchidea potrebbero aver svolto un ruolo chiave nell’evoluzione degli esseri umani e nel loro dominio sul regno animale. L’idea è che, poiché il mondo è imprevedibile, non è possibile sapere in anticipo quali tratti potranno favorire la sopravvivenza. La cosa migliore da fare per la natura è quindi tenere il piede in più scarpe. Come? rendendo alcuni di noi più reattivi al mondo esterno e altri meno, in sostanza diversificando il rischio.» (Elitsa Dermendzhiyska, Mindrise, Regno Unito – Internazionale n. 1291)

ELAINE ARON, nell’introduzione del 2012 al  suo “Persone altamente sensibili” (tradotto e pubblicato da Mondadori nel 2018) ha scritto:

«Penserete forse che essere sensibili sia sempre positivo: spesso invece non lo è. Inoltre la sensibilità è utile all’individuo solo se è una dote di pochi. Se tutti fossero sensibili, non ci sarebbe alcun vantaggio; in effetti, se tutti conoscessero una scorciatoia, e usassero quella informazione, nessuno sarebbe più avvantaggiato. In sostanza, l’ipersensibilità (o “responsività”, come l’hanno definita questi biologi) consiste nel prestare più attenzione degli altri ai dettagli e poi nell’utilizzare questa conoscenza per prevedere meglio il futuro. Talvolta tale comportamento dà buoni risultati, ma altre volte non comporta alcun vantaggio.

Come sapete bene, la sensibilità ha il suo prezzo. Può essere uno spreco di energia se ciò che sta accadendo ora non ha nulla a che fare con le esperienze passate. Inoltre, se un’esperienza passata era stata molto negativa, le HSP possono generalizzarla e cercare di evitarla o sentirsi ansiose in troppe situazioni, proprio perché le nuove esperienze assomigliano in parte a quelle vecchie. Ma il costo più elevato dell’essere  sensibili è la possibilità che il nostro sistema nervoso si sovraccarichi. Ognuno ha un limite nella quantità di informazioni o di stimoli che può ricevere prima di sentirsi oberato, sovreccitato, sfinito o sopraffatto! Noi HSP lo raggiungiamo semplicemente prima degli altri.» (Elaine Aron)

INTERNAZIONALE 1292 (1/7 febbraio 2019) ha pubblicato questa lettera, dal titolo “Vulnerabili e contenti“:
«Ho trovato molto interessante l’articolo sulla vulnerabilità (Internazionale 1291). Credo meriti particolare rilievo la conclusione rivolta alle vittime dell’inadeguatezza e del mancato riconoscimento sociale. Secondo l’autrice la “teoria dell’orchidea” offre a queste persone una speranza, perché mostra come la situazione di disagio non sia riconducibile a una forma di debolezza ma a una somma di caratteristiche positive: marcata attitudine ricettiva, sensibilità aumentata, predisposizione genetica a essere plasmati dal contesto. Non credo che un invito a tale consapevolezza offra una speranza a chi si riconosce in queste vere e proprie patologie sociali, anzi, vedo riproposta in altre vesti la richiesta di aderire a un modello che è irrealizzabile per le identità più fragili. In un sistema che predilige personalità capaci di adattarsi alle circostanze, flessibili, resilienti e permeabili alle fonti di stress, questa teoria fornisce però strumenti utili a riflettere sulla possibilità e sugli esiti patologici di queste caratteristiche.» (Simone Turconi)

Come si vede, molta confusione sotto il cielo e poche idee ma ben confuse. Però un punto  rimane fermo: la dittatura della maggioranza (dei soffioni) vorrebbe stabilire che  l’elevata sensibilità (delle orchidee) equivalga a patologia sociale. Se non è populismo questo… Tanti auguri a tutti.

In testata: Luminous Orchid, fotografia di Erin Hissong Carr –  Alberto Burri: Cretto bianco, 1975 (Fondazione Burri, Città di Castello) – Vincent Van Gogh: Autoritratto con l’orecchio bendato, 1889 (Courtauld Gallery, Londra) –  Il brano Anthem di Leonard Cohen  è contenuto nell’album “The Future” (1992) –  L’illustrazione che segue è di Zerocalcare (2018)

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