Il quadro di Èdouard Manet riprodotto qui sopra, l’Olympia, è stato realizzato nel 1863 e fu oggetto di enorme scandalo perché rappresentava inequivocabilmente una prostituta. Il che significava di fatto condannare non il quadro, bensì le presunte frequentazioni dell’autore, cioè guardare il dito anziché la luna. Che si tratti di malafede oppure di ottusità, il risultato non cambia. Si (pre)giudica la persona, non l’opera. È successo a un numero infinito di grandi artisti, e continua a succedere. Per esempio a:
Roman Polansky, regista di molti capolavori tra cui Chinatown o Frantic, è stato condannato in America per lo strupro di una tredicenne avvenuto nel 1977.
Richard Wagner, autore del Lohengrin, dell’Anello del Nibelungo, del Tristano e Isotta, del Parsifal, ecc. ha anche scritto un libello antisemita, Il giudaismo nella musica.
Ezra Pound ha scritto i Cantos e ha fatto propaganda a favore dei movimenti fascisti.
Louis-Ferdinand Celine ha scritto Viaggio al termine della notte e Morte a credito ma anche un violento libello antisemita come Bagatelle per un massacro.
Caravaggio, pseudonimo di Michelangelo Merisi, oltre ad essere un grande pittore barocco, fu protagonista di numerose risse, violenze, schiamazzi e ingiurie anche a guardie cittadine; fu più volte arrestato e commise un omicidio che lo costrinse a fuggire da Milano per rifugiarsi a Roma. (Jonathan Franzen ha dichiarato per questo motivo di sentirsi a disagio davanti ai suoi quadri…)
Woody Allen, regista di Io e Annie, Manatthan, ecc. ha sposato Soon-Yi Farrow Previn, figlia della ex compagna Mia Farrow.
Si potrebbe continuare a lungo con l’infinito elenco di contrasti tra biografia dell’artista e morale corrente, tra il comportamento dell’uomo e i contenuti della sua arte: ennesima dimostrazione della perenne confusione moralistica tra esigenza perbenista di condanna da una parte, descrizione e disvelamento profondo dell’incresciosa ma reale natura umana dall’altra. Si può affermare che la questione risale davvero alla notte dei tempi, o perlomeno alle origini della nostra civiltà.
Infatti: «Già Platone nella sua opera La Repubblica (che fu scritta tra il 380 e il 370 a.C. e vi si teorizza lo Stato ottimo, inteso come realizzazione dell’armonica convivenza basata sulla giustizia) descrivendo il suo Stato ideale ne bandiva i poeti; a suo parere infatti essi potevano avere un influsso negativo sui cittadini, specialmente giovani «dato che rappresentavano per lo più comportamenti riprovevoli, e non esitavano addirittura ad attribuirli agli dèi, che venivano descritti rissosi, violenti, corrotti, preda del vizio e della concupiscenza. […]
(Tuttavia) Non bisogna dimenticare che compito dell’artista non è dare lezioni di morale. È rappresentare quello che accade o può accadere, e i grandi scrittori sanno che i cattivi pensieri e le cattive azioni albergano anche nelle persone che ne sembrano più lontane, figuriamoci nei perversi. Guai se l’artista, in nome di una correttezza morale troppo soggetta ai mutamenti dei costumi e delle società, rinunciasse a farci vedere le cose come sono. Significherebbe rinunciare a metterci in contatto con quel che esula dalla nostra tranquillità e dai nostri comportamenti irreprensibili. Non per nulla, l’arte edificante è quasi sempre cattiva arte: come è stato detto con qualche verità, è con i buoni sentimenti che si fa la cattiva letteratura.» (Paolo D’Angelo)
Come detto, pre-giudicare l’autore anziché la sua opera significa guardare il dito anziché la luna. Troppo spesso “l’ipocrisia è al potere”: tra mansieur Tartuffe e il genio di Richard Wagner (per esempio), a qualcuno la scelta risulta – come sempre – oltremodo scomoda e difficile. Ma è poi davvero possibile rifiutarsi di accettare realtà di fatto come (sempre per esempio) la sublime grandezza di opere come il Parsifal?